mimpegnomanontroppo

01 novembre, 2005

L'ESTATE DEL DISCONTENTO


MARMELLATA #25
(Cesare Cremonini)
Ci sono le tue scarpe ancora qua,ma tu te ne sei già andata,c’è ancora la tua parte di soldi in banca,ma tu non ci sei più!C’è ancora la tua patente rosa tutta stropicciata,e nel tuo cassetto un libro lettoe una Winston blu……l’ho fumata!Ci sono le tue calze rotte la notte in cui ti sei ubriacata,c’è ancora lì sul pianoforte una sciarpa blu,ci sono le tue carte il tuo profumo è ancora in questa casae proprio lì, dove ti ho immaginata……c’eri tu!Ah! Da quando Senna non corre più…Ah! Da quando Baggio non gioca più…Oh no, no! Da quando mi hai lasciato pure tu……non è più domenica!E non si dimentica, non si pensa, non si pensa più!Ci sono le tue scarpe ancora quama tu non sei passataho spiegato ai vicini ridendo che tu non ci sei piùun ragazzo in cortile abbraccia e bacia la sua fidanzataproprio lì dove ti ho incontrata……non ci sei più!Ah! Da quando Senna non corre più…Ah! Da quando Baggio non gioca più…Oh no, no! Da quando mi hai lasciato pure tu……non è più domenica!E non si dimentica…Ora vivo da solo in questa casa buia e desolatail tempo che dava l’amore lo tengo solo per meogni volta che ti penso mangio chili di marmellata..quella che mi nascondevi tu……l’ho trovata!!
(Cesare Cremonini)

Ci sono le tue scarpe ancora qua,ma tu te ne sei già andata,c’è ancora la tua parte di soldi in banca,ma tu non ci sei più!C’è ancora la tua patente rosa tutta stropicciata,e nel tuo cassetto un libro lettoe una Winston blu……l’ho fumata!Ci sono le tue calze rotte la notte in cui ti sei ubriacata,c’è ancora lì sul pianoforte una sciarpa blu,ci sono le tue carte il tuo profumo è ancora in questa casae proprio lì, dove ti ho immaginata……c’eri tu!Ah! Da quando Senna non corre più…Ah! Da quando Baggio non gioca più…Oh no, no! Da quando mi hai lasciato pure tu……non è più domenica!E non si dimentica, non si pensa, non si pensa più!Ci sono le tue scarpe ancora quama tu non sei passataho spiegato ai vicini ridendo che tu non ci sei piùun ragazzo in cortile abbraccia e bacia la sua fidanzataproprio lì dove ti ho incontrata……non ci sei più!Ah! Da quando Senna non corre più…Ah! Da quando Baggio non gioca più…Oh no, no! Da quando mi hai lasciato pure tu……non è più domenica!E non si dimentica…Ora vivo da solo in questa casa buia e desolatail tempo che dava l’amore lo tengo solo per meogni volta che ti penso mangio chili di marmellata..quella che mi nascondevi tu……l’ho trovata!!
Prima o poi doveva succedere. Mi sono innamorata. È successo a Viareggio, al Festival Gaber. A un certo punto arriva Cesare Cremonini, e tutti sono pronti a massacrarlo, e invece fa un pezzo di Gaber e lo fa più che dignitosamente. Ma non è questo il punto. Il punto arriva quando si siede al pianoforte e dice che farà la versione originale della sua nuova canzone quella che tutti sentiamo alla radio. Ecco quel che accade a non possedere una radio: che io Marmellata #25 non l’avevo mai sentita. E fatta così, solo pianoforte, languida e acustica, è stata una coltellata al cuore. Sommata alle quattrocento volte in cui l’ho sentita dal cd nei giorni successivi, fanno quattrocentouno coltellate al cuore. C’è ogni fine di ogni amore, in quella ricognizione di una casa abbandonata, in quel catalogo di oggetti che l’abbandonatrice si è lasciata dietro: “Le tue calze rotte la notte in cui ti sei ubriacata” e la Winston blu che lui ritrova nel cassetto e non resiste, “l’ho fumata”. Altro che costruzione di un amore: vuoi mettere come spezza le vene la fine di un amore? Vuoi mettere lo strazio di spiegare “ai vicini, ridendo, che tu non ci sei più”? Per non parlare di quella desolata constatazione: niente più Senna, niente più Baggio, “da quando mi hai lasciato pure tu non è più domenica”. Mentre Cesare, per dimenticare, mangiava chili di marmellata, io ho pensato che prima o poi doveva succedere. Mi sono innamorata, e in giro per casa ci sono già tutti i segni della fine.
(Guia Soncini, Io Donna)
Ho fatto una vacanza in agosto. Ho comprato delle scarpe con la zeppa. Ho mandato messaggi con faccette sorridenti. Ho fatto il bagno in mare - il bagno intero, intendo, fino al collo. Mi sono distesa su uno scoglio senz’ombra (con la protezione totale, ma nell’orario in cui vengono le rughe). Ho comprato un bikini in saldo a 9 euro e 90. Ho dato dei soldi a un suonatore da ristorante. Mi sono lavata i capelli sotto la doccia, e li ho fatti asciugare all’aria. Ti ho presentato una femmina - belloccia, oltretutto. E alla fine, ubriaca di trasgressioni, ho sorriso a un cameriere e gli ho detto “Prendo la pasta fredda”, e quella pasta fredda aveva persino le olive, non so se mi spiego. Ho violato tutti i princìpi secondo i quali avevo fin qui vissuto, e quindi ora sono pronta a ignorare la convenzione da te imposta, quella per la quale siam gente di mondo e facciam finta di nulla, e a chiederti come cazzo ti permetti di non amarmi.
E’ stata Paola. E’ stata lei, questo è quello che dirò al mio biografo quando, tra centocinquant’anni, verrà a raccogliere le mie memorie di signora di mezz’età e mi chiederà come fosse cominciata l’estate del mio discontento, quella che mi vide mettere in discussione le leggi regolatrici della mia esistenza, scaricare le batterie dell’iPod, dimenticare di piangere. E’ stata Paola. Oddio, la mia crisi di nervi doveva essere già lì, pronta a esplodere, altrimenti mai mi sarebbe venuto in mente di proporti di raggiungerci a cena, o almeno, quando ti ho detto “vado con Paola” e tu hai detto “Paola chi?”, non ti avrei detto “daaaai, te ne ho parlato un milione di volte, la stagista figa…”. Avrei sorvolato, perché a quel punto era assolutamente prevedibile che tu dicessi una di quelle cose che dici tu, e infatti l’hai detta, hai detto “Ma se vengo a cena poi lei me la dà?”. Io ho finto di trovarti divertente, tu hai finto di dire che non sapevi, bah, tanto non te la dava, tanto quasi certamente era una cozza come tutte le mie amiche, e probabilmente non saresti venuto, e quando sei arrivato hai finto di tirartela, hai detto che eri di cattivo umore, e che eri lì con noi solo perché alla cena da cui eri fuggito c’era una che ti prendeva a capellate. Avrei dovuto capirlo dal modo in cui trovavo irresistibile la tua imitazione dei movimenti del collo della povera ragazza, da quell’agitare chiome che non hai come arma contundente e dal mio trovarla la gag più spassosa del mondo, avrei dovuto capirlo da quello che non era una buona idea essere lì, non era una buona idea fare i vecchi coniugi con eccesso di confidenza, non era una buona idea consumare pasti regolari in tua compagnia. Avrei dovuto capirlo da quello, o anche dal modo in cui Paola agitava le mani davanti alla faccia ridendo come una tredicenne in via di sviluppo e dicendo “Che emozione, conosco il Porco Bastardo!”. Avrei dovuto evitare di incrociare il tuo sguardo, quello sguardo hai-amiche-persino-più-imbecilli-di-te, o fare qualcosa, zittirla, magari prendendola a capellate, che quella sera erano pure ricci e quindi particolarmente contundenti.
Poi c’è stata la Versilia. Uno dei posti più deprimenti in cui sia mai stata, forse solo Santo Domingo è a quei livelli. Un posto in cui l’alta stagione sembra fine stagione, in cui fine luglio sembra la fine di Sapore di mare, quando i ciccioni se ne vanno assieme e gli stabilimenti chiudono e Selvaggia e Gianni si sono mollati e lei cammina triste e sola e tettona e piove. (Chissà perché Marina Suma che guardava da lontano Jerry Calà raggiunto dalla sua ragazza-bene milanese e già dimentico della sua burina stagionale con madre che la voleva accasare, chissà perché non commuoveva allo stesso modo). Comunque, è stato in Versilia che l’ho sentita la prima volta. E’ stato dalla Versilia che ho mandato a un amico il messaggio “mi mandi l’mp3?”. E’ stato dalla Versilia che ti ho scritto “Non mi dici mai le cose importanti. Marmellata #25 è un capolavoro”. Ero su un treno di ritorno dalal Versilia quando sono successe le uniche due cose che abbiano sin qui illuminato l’estate del discontento e forse la mia intera vita, le uniche due frasi davvero gentili e affettuose che mi siano state rivolte da che ho memoria. La prima era la tua risposta su Marmellata #25. Una risposta che sembrava mia. “Tu non mi ascolti”. Dev’essere la radiosa espressione con cui ho alzato la testa dal display del cellulare che ha influenzato la signora seduta di fronte, una cicciona di Benevento che riportava i nipoti dai genitori. Invece di tenere fermi gli infernali marmocchi, la signora faceva conversazione con due befane (era una di quelle che parlano con gli estranei). In quel momento stava dicendo alle befane che lei indovina sempre l’età delle persone. Quindi io ho alzato la testa dal meravigioso messaggio in cui tu facevi quello che mi parla di quella meravigliosa canzone e sarei io quella che ti trascura, bella e spietata come il conte di Montecristo, e la tizia mi ha indicato e ha diagnosticato: “Tu 19… 20?”. Per un attimo mi è sembrata una stagione d’assoluta figaggine.
C’è ancora la tua patente rosa tutta stropicciata/ E nel tuo cassetto un libro letto e una Winston blu/ L’ho fumata” Il mio Consulente Musicale di Riferimento, quando l’ho chiamato balbettando estasiata “Ma… Marmellata… Ma… Capolavoro…” mi ha detto: “Quando lui trova la Winston e la fuma io mi inginocchio in segno di rispetto per il genio. Ogni volta”. Il mio Consulente Musicale di Ripiego, quando gli ho chiesto se mi insegnava ad aspirare perché io devo assolutamente cominciare a fumare Winston blu, è una necessità che sento prepotente come lo era stata solo quella di avere un punto vita di 38 centimetri dopo la prima visione di Via col Vento, il Cons. Mus. di Rip., ti stavo dicendo, ha decretato che Cremonini debba avere un ghostwriter: “Dietro quella Winston blu c’è tutt’un mondo che lui non può conoscere in prima persona. A meno che non sia un genio. O un highlander”. Ho tentato - credo senza convincerlo - di argomentare che la fine della storie d’amore, oltre a essere un collirio universale, dà un botta di lucidità nell’ottundimento e insomma io ci credo, che l’hanno piantato e lui ha composto un capolavoro. Come diceva il mio fidanzatino delle medie: soffri, che ti fa bene. Poi dice perché una diventa un’adulta problematica.
“Ci sono le tue calze rotte la notte in cui ti sei ubriacata”Io non lo so cosa sia successo quella notte con Paola. Cioè, so che ti ho detto di riaccompagnarla a casa e lei ha iniziato a sbattere gli occhioni dicendo “Ma no, posso andare a piedi”. So che mi ha telefonato dopo un quarto d’ora fingendo di volerti commentare ma in realtà per farmi capire che era sola e disponibile alla conversazione e che insomma al massimo poteva avertela data rapidamente nell’androne e siccome io sapevo che era una ragazza troppo chic per darla nell’androne senza venire presentata ai tuoi genitori potevo pure andare a dormire tranquilla. So che, quando sono tornata dalla Versilia e le ho passato la dose di Marmellata #25, lei mi ha detto che era dovuta uscire dall’ufficio con una scusa per piangere in pace. So che il mattino successivo alla cena, quando ti avevo telefonato facendo la sportiva, “Hai visto, te l’avevo detto che era figa”, tu mi avevi risposto “Insomma, mi avevi annunciato Emmanuelle Béart e mi sono ritrovato Pollyanna” e lì per lì la cosa mi aveva molto rassicurato, ma poi mi sono ricordata di un moroso del liceo che mi piantò per una molto carina, e fino al giorno prima ogni volta che io dicevo che era molto carina lui mi diceva che era inguardabile e nana, e quando andai a lamentarmi dalle amiche quelle mi guardarono con compatimento svelandomi quel che loro sapevano dall’asilo, ovvero che se un uomo parla male di una è perché se la vuol fare. Ecco. Tanti soldi spesi per iscrizioni inutilizzate all’università e mi ritrovo a dire “chi disprezza compra”. E’ così che mi hai ridotto. Altro che Adèle H.
Comunque poi le ho passato il file di Marmellata, lei l’ha sentito, è andata fuori a piangere, e quella sera mi ha raccontato una straziante e ordinaria storia di amore finito e calze rotte ed ex fidanzato fanatico di Baggio. Poi mi ha detto “Se tu lo amassi ancora scriveresti quelle cose commoventi”. Ci sono voluti due minuti per capire. I due minuti si sono articolati in tre fasi. La prima è stata la realizzazione che Paola legge le cose che scrivo a te, voglio dire, roba da matti, se volessi farle leggere al mondo le pubblicherei su un giornale, no? La seconda è stata l’individuazione di quali fossero esattamente le “cose commoventi” cui si riferiva. Alla fine non l’ho capito per il mio prodigioso intuito ma perché lei si è messa a citare a memoria interi brani di disperazione da fine d’amore, e alla fine mi ha detto pure in che data ti avevo recapitato tutto il mio strazio. “5 luglio 2003. Sai, quand’era morta Katharine Hepburn e anche…”. Ha lasciato la frase a metà, perché è sì così malata di mente da ricordarsi parola per parola una cosa che non avrebbe dovuto leggere due anni prima, ma non ha però letto un sufficiente numero di romanzi di Delly da praticare la sospensione del ridicolo necessaria a pronunciare frasi come “il giorno in cui è morto il vostro amore”. Avrei dovuto dirle qualcosa. Che è una malata di mente. Che le cose che scrivi nel momento in cui le scrivi cessano d’essere vere. Che l’amore è uno sbilanciamento ormonale curabile. Che volevo il parmigiano, anche se il cameriere sosteneva su quegli spaghetti non ci andasse, perché nel sugo c’era l’aglio, io ce lo volevo lo stesso e avrei voluto anche un cameriere che si facesse i cazzi propri. Avrei dovuto parlare, ma non potevo. Ero nella terza fase. Concentrata e silente. Impegnata ad avere nostalgia di due estati fa. Quando non avevo ancora il nuovo modello di cuore. Quello infrangibile.
“Ogni volta in cui ti penso mangio chili di marmellata / Quella che mi nascondevi tu / L’ho trovata”Il giorno dopo sono passata in ufficio. Il vicino di scrivania di Paola stava minacciando di licenziarsi se lei non avesse interrotto il loop di Marmellata che girava sul suo computer ormai da ventiquattr’ore. Lei ha spento, è venuta alla mia scrivania e ha detto “Fammela sentire”. Ci sono casi in cui è intuile mettersi a discutere: ho aperto iTunes e ho cercato di distrarla dalla sua determinazione a frignare dissertando su come la canzone fosse un capolavoro e Cremonini un genio. Siccome ogni scusa è buona per non lavorare, dopo un po’ c’era un assembramento di improvvisati critici musicali. Chi diceva che probabilmente lei in realtà fumava delle Marlboro light, ma con la metrica era un casino e allora lui le aveva fatte diventare Winston blu (io non voglio neanche prendere in considerazione, neanche a puro scopo di speculazione filosofica, l’idea che Cremonini menta su un dettaglio del genere: voglio dire, stiamo parlando di un puro di cuore, dell’uomo che “dammi una Vespa / è l’estate che avanza / dammi una Special / che ti porto in vacanza”, diamine). Chi raccontava il video, con lui che trova in giro tutti gli oggetti di lei e ricorda straziato come nella canzone quando lei era lì, finché arriva al tavolo della colazione e lei è lì seduta e non se n’è mai andata, ma allora non vale, scusa. Fino a che la mia cinica vicina di scrivania ha preso il foglio su cui avevo stampato il testo, gli ha dato un’occhiata con una smorfia che neanche la regina cattiva guardando Biancaneve, e ha detto “Che stronzata”. Io ho detto che era un capolavoro assoluto, a livello di “chi ci sarà dopo di te / respirerà il tuo odore / pensando che sia il mio”, che era fin qui la più fenomenale frase da fine di un amore mai sentita. La cinica ha alzato le spalle e ha ribadito “Che stronzata” (cinica e con un vocabolario limitato). Paola ha detto “Ma allora lo vedi che non è più domenica!” col tono con cui io dico a te “Ma allora non mi vuoi più bene!” (meglio: col tono con cui te l’avrei detto nel luglio 2003) ed è corsa fuori non ho capito se a piangere, a telefonare, a fumare o semplicemente a imboscarsi da qualche incombenza lavorativa. L’assembramento da Marmellata si è sciolto, e io ho capito di avere bisogno di una vacanza.
“Da quando Senna non corre più / Da quando Baggio non gioca più / Da quando mi hai lasciato pure tu / Non è più domenica”Il fatto è che le cose tra di noi non sono chiare. Cioè, se io ti dico “Andiamo al mare?” e tu mi rispondi “Cos’è, adesso programmiamo le vacanze? Siamo una coppia?”, io mi aspetto che sia parte della nostra deliziosa dinamica in cui io sono il detenuto buono e tu il poliziotto cattivo, mi aspetto che tu faccia battute stronze ma poi ti presti a caricare la macchina, calcolare le ore non di punta, chiedermi a cosa mi serviranno mai tutte quelle valigie e insomma fare le cose normali che gli uomini fanno ad agosto quando le donne decidono che è giunta l’ora di mostrare la cellulite agli altri bagnanti. Non mi aspetto di ritrovarmi, la settimana dopo, appollaiata sull’unico scoglio su cui il cellulare abbia un po’ di campo, a chiedere alla tua segreteria telefonica quando ti deciderai a raggiungermi. Non mi aspetto di ritrovarmi sola a cene di tutte coppie con mogli abbronzate che mi guardano in tralice come fossi lì per azzannare i loro incommestibili mariti. Non mi aspetto di dover sorridere al direttore dell’albergo che, incrociandomi mentre torno dal mio scoglio di riferimento, mi chiede “Signora, ma lei sta sempre al telefono?”. Pensare che il mese più crudele sia aprile significa non aver mai affrontato un agosto con te.
Siccome la Marmellata dopo un po’ stucca, ho passato giornate in simbiosi con l’iPod, cercando altre canzoni perfette per elaborare il lutto da fine di un amore. Dal capanno dei massaggi sulla spiaggia ti ho scritto: “non finiscono mai/ non finiscono mai/ non finiscono mai mai mai”. Da non so dove mi hai risposto: “Radio Cuore?”
Conversazioni che ti metterò in conto, con commensali coi quali non sarei mai stata costretta a intrattenermi se tu non mi avessi piantata sola come uan zitella in luogo di viellegiatura fastidiosamente ameno.Una francese che, arrivata in un ristorante sugli scogli, separato dal mare solo da una vetrata, in una sera di pioggia, ha scosso le chiome tirate a ludcido e ha sospirato seria e (secondo lei) intensa: “Mi piace la violenza del mare”.Il marito della francese che, mentre lei parlava a voce altissima di cose pochissimo interessanti (cioè: di se stessa), mi ha intrattenuto su: la necessità della riforma dello stato sociale; l’opportunità di servire i superalcolici con ghiaccio; la sua avversione per negozi come Colette e Corso Como, dove trovi le stesse cose che in altri posti ma le paghi di più. Fino a quel momento l’avevo ascoltato con pazienza, perché probabilmente era la prima sera dall’inizio dell’anno in cui riusciva a parlare, pover’uomo, la prima sera in cui almeno una persona al tavolo non era travolta dalle arringhe di sua moglie, la prima sera in cui lui aveva l’opportunità di sentire il suono della propria voce. Fino a quel momento l’avevo ascoltato: era noioso ma miliardario, e magari un domani decideva di sostituire una moglie logorroica con una paziente, e una ragazza deve pensare a sistemarsi, specie se ha buttato i più sodi anni della propria vita con un inaffidabile cattivo partito come te. Aavevo taciuto fin lì, ma su Colette non ho retto più. Voglio dire, ti sembra normale che un eterosessuale maschio conosca le boutique e i loro prezzi e il loro assortimento?Una romana che ha interrotto il mio flirt col cameriere - la persona più civile che ci fosse lì intorno. Lui stava cambiando i piatti tra un antipasto e l’altro e io gliela stavo mandando caldissima, cercando di non ricordare la volta in cui avevamo preso in giro una pariolina che sospirava che a lei ormai piacciono solo i criminali e alle cene in terrazza socializza solo coi camerieri. Ero intenta a non immaginarmi la tua espressione mentre mi dicevi “Non so se ti sopporto meno quando fai quella di sinistra o l’orfanella Annie”, a non farmi rovinare dai tuoi immaginari rimbrotti il gioco di sguardi col cameriere, le occhiate in bilico sullo scivoloso crinale tra solidarietà e sussulto ormonale, l’unica cosa che movimentasse la serata, quando la romana mi ha rivolto la parola. Era seria. Cercava la mia approvazione. E io non sapevo che faccia fare. Cosa si risponde a una che dice “Certo che non si trova più personale come si deve”?Una democristiana che lamentava le sue studentesse andassero in giro coi pantaloni a vita bassa, e io ho cercato di spiegarle il concetto filosofico di “moda” e di come in contemporanea non ti sembri mai brutta né ridicola, voglio dire lei ha presente le zeppe dei tempi suoi o le spalline imbottite dei tempi miei, ma lei mi guardava come neanche lady Bracknell e sillabava “Ma hanno il taglio del sedere di fuori!”, e io non avevo la forza di dirle “Sì, ma lei ha la matita più scura rispetto al rossetto, non è che faccia meno impressione, sa?”, ma tu non c’eri e una ragazza sola non può mettersi troppo nei guai.La francese, infine, ancora lei. Che in finale di serata ha iniziato a cianciare di non so quale cena che avrebbe organizzato al ritorno a Parigi, in onore dell’ambasciatore di Sailcazzo, e la cena si sarebbe intitolata, diceva scuotendo le chiome, “hommage à Pulia”, con l’accento sulla “a”, e io mi chiedo perché tu non ci sia mai in questi momenti topici, quando potresti farti prendere a capellate e scansandoti una ciocca dalla faccia chiederle se le sue cene abbiano sempre un titolo, ché io mica ho avuto il coraggio di domandarlo. Comunque poi la capellatrice ha aggiunto che per fare la cena in questione si sarebbe portata via non so quante valigie di prodotti locali, e che il dessert sarebbe stato fatto sulla base della marmellata che il cuoco dell’albergo faceva con la ricetta lasciata da sua nonna. Marmellata di melograno e arancia amara. L’ho trovata.
La prima cosa di cui mi sono resa conto è che mi stavi spingendo fuori dal letto. Non ho pensato niente, ordinaria amministrazione, ho guardato l’ora sul cellulare e stavo per tornare a dormire, ma riappoggiandolo ho realizzato che là dove c’era un mucchio di giornali ora c’era un comodino, e quindi non era casa mia: già, erano le ferie d’agosto, quelle per le quali tu mi avevi bidonato - quindi ora cosa ci facevi nel mio letto? Ho cercato di ricordarmi se fossi arrivato la sera tardi, ma no, ero sicura di essermi addormentata da sola, me ne ricordavo perché l’ultima cosa che avevo fatto sul mio scoglio, al buio, prima di rientrare in quella stanza in cui il telefono non prendeva, era stata parlare con un altro uomo, uno che aveva definito Marmellata “un tentativo adolescenziale di rifare Battisti-Mogol”, e quelli che fanno i competenti mentre tu fai la sentimentale sono davvero insopportabili, senza contare che poi il competente, quando l’avevo arringato sul concetto rivoluzionario per cui “non è più domenica”, si era dimostrato del tutto impreparato, e non si può discutere di una canzone con uno che del ritornello non ha compreso non dico la valenza eversiva ma neppure le parole, santa pace. Ero tornata in camera esausta, e sola. La prima cosa che ho pensato è stata che per fortuna non sono abbastanza di sinistra da portarmi in camera il cameriere. L’ho pensato per mezzo secondo, poi ho fantasticato per un paio di minuti sulla meravigliosa scena da Beautiful che persino tu, che non ti scomponi per principio, saresti stato costretto a fare trovandomi dormiente con un cameriere perdipiù senza divisa. Voglio dire, mica potevi scansarlo e metterti a dormire.
Il direttore dell’albergo si è affacciato all’ora di pranzo, quando tu sotto il pergolato stavi facendo la stessa cosa che avevi fatto per tutta la mattina, ovvero leggere i giornali lamentandoti perché te li avevo disordinati tentando invano di venire a capo dei sudoku, e io sugli scogli stavo passeggiando leggiadra come sempre, forte della protezione totale e del cappello a tesa larga di fronte al quale tu avei borbottato “levati quell’affare da cretina” e delle mie trippe tenacemente bianche e del mio costume da 400 dollari che mi stava esattamente uguale a quello saldato a 9 euro e 90. Il cappello non dev’essere bastato a evitarmi un colpo di sole, perché giurerei che il direttore abbia detto “Ha visto che bella sorpresa?”, giurerei di avergli risposto che non mi ero accorta di niente, avevo continuato a dormire, e giurerei che tu a quel punto, con quell’espressione impassibile con cui potresti recitare le previsioni del tempo, abbia detto “Sì, ha il sonno pesante. Le ha mai raccontato di quel fidanzato col pisello piccolo e di come lei si svegliasse sempre a cose fatte? E’ il suo aneddoto preferito” - giurerei, ma sarebbe un delirio solare, vero? Non può essere andata così, vero?
Avrei voluto dirti di Paola. Che quando giorni prima l’avevo invitata, visto che ormai ti conosceva, a chiedere a te perché non scrivevo più cose struggenti come un tempo, evidentemente la responsabilità era tua, che non sapevi più ferirmi come un tempo, di Paola che mi aveva risposto “Ma no. Sei tu, che devi ritrovare la capacità di starci male come allora” (quando il biografo, tra centocinquantun anni, arriverà a questo punto, gli dirò di sì: è stato questo il momento in cui ho capito perché non ho amiche). Avrei voluto dirti dell’infruttuosa ricerca del perfetto verso da morte dell’amore, di come grande fosse stata la collaborazione e copiosi i suggerimenti, il migliore dei quali mi sembrava “una prova innnocente / chiamare amore un amore qualunque / a cui di me non gliene frega niente”, ma nessuno all’altezza della fine dell’idea stessa di domenica. Avrei voluto chiederti se per favore la prossima estate potevamo organizzarci meglio, se potevi farmi soffrire almeno un po’, ché mi mancano tanto i miei ferragosto di lacrime in città, quando è chiuso perfino il MacDonald. Stavo per parlartene seriamente, dovevo solo darmi una sistemata, venivo dal capanno dei massaggi e mi colava l’olio dalle orecchie. Ma poi è successo tutto insieme. Tu hai detto “vabbè, io riparto”, il cellulare ha fatto dlin-dlon, il messsaggio suggeriva un nuovo verso, “da sempre mi tormenta una domanda / perché gli viene facile all’umano / amarsi specialmente da lontano?”, io mi sono asciugata l’olio il più dignitosamente possibile e ti ho detto che prima di partire avresti proprio dovuto assaggiare la specialità della casa. Marmellata di melograno e arance amare.
(Guia Soncini,
Il Foglio)
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