LO SCONFORTO CHE CI PROTEGGE E CI FA RIPARTIRE
Molte persone, di fronte a una sconfitta o a una difficoltà molto grave, vengono prese dallo sconforto. Lo sconforto è un cedimento interiore, una scomparsa dello slancio vitale, la perdita della speranza. Ho visto molti individui colpiti dalla malattia o dalla sfortuna cedere, crollare, e mi sono domandato che cosa sarebbe mai capitato di loro. Li ho rivisti dopo molti anni e, stupito, ho visto che si erano ripresi, erano guariti, avevano iniziato una nuova attività, pieni di vita. Ho capito allora che lo sconforto e il cedimento quasi sempre sono meccanismi di protezione. Ci ritiriamo come il cane ferito si ritira nella sua cuccia per proteggersi dagli stimoli, per non mettersi in gioco finché non ha recuperato le forze.
Ma vi sono anche casi in cui questi meccanismi protettivi diventano patologici. Ho conosciuto persone che, dopo una frustrazione, non hanno più avuto il coraggio di abbandonarsi all’amore. Ragazzi che, per non aver superato un esame, si sono convinti di non riuscire negli studi e hanno rinunciato. Altri che, dopo una dura sconfitta, sono rimasti doloranti, spaventati, e non hanno più avuto il coraggio di creare e di prendere nuove iniziative. All’estremo opposto vi sono persone straordinarie capaci di resistere nelle condizioni più spaventose, di sperare quando tutto sembra perduto. Persone dotate d’una straordinaria volontà di vivere e di sperare che sono sopravvissute per decenni in orribili celle sotterranee senza luce, in mezzo ai propri escrementi e ai topi, o nei gulag del comunismo sovietico e perfino nei campi di sterminio hitleriani. Oppure pensiamo al filosofo Tommaso Campanella, torturato e rimasto in orribili prigioni per ventisette anni e che ha continuato a creare, a scrivere. Questi casi estremi ci mostrano quali straordinarie risorse la fede e la speranza generino nell’animo umano.
Di fronte ai dolori e alle frustrazioni della vita, ricordiamo perciò che lo sconforto e il cedimento sono meccanismi di difesa il cui scopo è proteggerci, indicarci un pericolo, impedirci di agire quando siamo troppo deboli o confusi. Guai, però, a lasciarci trascinare nel loro vortice.
Devono essere come il sonno di notte dopo una giornata sfibrante, servire a recuperare le forze, a cercare nuove strade per tornare all’azione più lucidi e più forti. Dopo la condanna a morte e all’esilio Dante non si abbandonò alla depressione, ma scrisse la Divina Commedia.
Ma vi sono anche casi in cui questi meccanismi protettivi diventano patologici. Ho conosciuto persone che, dopo una frustrazione, non hanno più avuto il coraggio di abbandonarsi all’amore. Ragazzi che, per non aver superato un esame, si sono convinti di non riuscire negli studi e hanno rinunciato. Altri che, dopo una dura sconfitta, sono rimasti doloranti, spaventati, e non hanno più avuto il coraggio di creare e di prendere nuove iniziative. All’estremo opposto vi sono persone straordinarie capaci di resistere nelle condizioni più spaventose, di sperare quando tutto sembra perduto. Persone dotate d’una straordinaria volontà di vivere e di sperare che sono sopravvissute per decenni in orribili celle sotterranee senza luce, in mezzo ai propri escrementi e ai topi, o nei gulag del comunismo sovietico e perfino nei campi di sterminio hitleriani. Oppure pensiamo al filosofo Tommaso Campanella, torturato e rimasto in orribili prigioni per ventisette anni e che ha continuato a creare, a scrivere. Questi casi estremi ci mostrano quali straordinarie risorse la fede e la speranza generino nell’animo umano.
Di fronte ai dolori e alle frustrazioni della vita, ricordiamo perciò che lo sconforto e il cedimento sono meccanismi di difesa il cui scopo è proteggerci, indicarci un pericolo, impedirci di agire quando siamo troppo deboli o confusi. Guai, però, a lasciarci trascinare nel loro vortice.
Devono essere come il sonno di notte dopo una giornata sfibrante, servire a recuperare le forze, a cercare nuove strade per tornare all’azione più lucidi e più forti. Dopo la condanna a morte e all’esilio Dante non si abbandonò alla depressione, ma scrisse la Divina Commedia.
Francesco Alberoni
Pubblico & Privato
08 maggio 2006
Corriere della Sera
2 Comments:
L'ho riletto più volte per fare mia ogni singola parola. Davvero un grande articolo...il nostro appuntamento del lunedì Stefy.
potrei insignirlo della medaglia di "inno 2" se tu sei d'accordo...
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