IL GIORNO DEI PURI
Fra venticinque anni, quando sarà adulta la generazione di ragazzi e ragazze che ancora dorme beata dopo la notte di festa per l'Italia campione, resteranno i ricordi. Un matrimonio con il riso che vola, il castello di sabbia con una bambina al mare, l'addio a un volto caro, un bel giorno al lavoro. Nell'album dei souvenir di una vita, il 9 luglio 2006 sarà gioia candida, «Quando l'Italia vinse, io...». Felicità delle maglie, gol, parate che i nostri colleghi dello sport hanno annunciato con maestria. Ma nel ricordo, scolorite tattiche, 4-4-1-1, Zidane teppista qualunque, Totti avanti, si fissa la gioia di identità e comunità.Siamo campioni perché italiani, abbiamo vinto con la grinta, la sorte e i difetti nazionali e nel Bar del Mondo abbiamo diritto di sfottò su tutti, bleus di Francia, carioca do Brasil, bianchi di Germania, malmostosi argentini. Ovunque sul pianeta Terra il passaporto bianco-rosso- verde verrà timbrato con ammirazione, «Italia Paolo Rossi», «Italia Baggio», «Italia Grosso».È sbagliato cercare in un trionfo sportivo i segni del destino. È sbagliato ma non resistiamo, non sappiamo vivere senza vaticinare il futuro, nei fondi del caffè, nel palmo di una mano, in una palla di vetro o di fibre sintetiche Teamgeist, incubo di Barthez. Bartali, Coppi e Valentino Mazzola segnano la rinascita del dopoguerra; Berruti, Rivera e la Grande Inter il boom anni 60; Bearzot l'Italia Paese globale, come la Germania '54 aveva dissolto l'ombra totalitaria e la Francia multirazziale '98 dato l'addio alla spocchia coloniale. Solo segni, mai certezze, dopo Bearzot venne il crac Prima Repubblica e dopo il mondiale a Parigi il rogo delle periferie arabe.Oggi, rauchi per i troppi «Goool! Goool!» quelle profezie ci appaiono precise e ineluttabili nella loro fragilità. Diamo sempre il meglio quando siamo alle corde, scandali, processi, meschinità. Spogliati di ogni gloria, nudi davanti a sé stessi e a un Paese di innamorati delusi, i nostri calciatori, il mister Lippi e lo staff tecnico hanno lavorato solo per il calcio.I cinici diranno che gli assi in cerca di contratto dopo il declassamento dei loro club galoppavano in vista di ingaggi. Non noi. Noi crediamo che, dopo intercettazioni, accuse, intrighi e truffe, ognuno degli azzurri sia tornato per un mese quello che era da ragazzo in periferia, quando il calcio era sogno, non racket. E giocando nel sogno ci hanno fatto innamorare.I cinici sbagliano sempre nella vita, i boss del calcio corrotto sono più ingenui dell'ultimo tifoso insonne, irriducibile in piazza con la bandiera sdrucita. La passione vince sull'imbroglio, i puri di cuore sono più efficienti dei furbi, il gioco di squadra delle persone perbene prevale su vanità, egoismi, lobby. Questa è la morale di ogni festa, all'Olympiastadion, in strada, nel tinello, effimera e indimenticabile come un replay. Lavorare insieme, con serietà, ci porta avanti nel mondo e per questo esultava ieri Napolitano, presidente gentleman. Complottare per cupidigia di clan ci ha perduto tante volte nel passato e ancora ci perderà se recidivi nel lasciarci rapire il Paese da chi «sa stare al mondo». Ora il calcio dei campioni commina le pene al calcio marcio: lo faccia con fermezza, senza vendette, in garanzia equanime di limpida rinascita per tutti.
Grazie Italia.
Gianni Riotta
10 luglio 2006
www.corriere.it
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