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26 dicembre, 2005

COSTRUIRE LA PARITA' TRA UOMO E DONNA CON L'USO DELLE PAROLE

Nientemeno che Shakespeare, in una delle sue tragedie più famose, fa dire a Giulietta: “Che cosa c’è in un nome? Quella che chiamiamo rosa con ogni altro nome profumerebbe soavemente. Ora, Romeo, rinunciando al suo nome, conserverebbe le sue doti preziose che gli appartengono anche senza quel nome”. Giulietta nega importanza ai nomi, che considera semplici segni convenzionali, per giustificare il suo amore per il nemico Romeo. In realtà però le parole sono molto più di un segno e il loro uso o non uso non è privo di conseguenze. Il vocabolario di un popolo è il riflesso della cultura di quel popolo. Studiando il linguaggio si può capire il modo in cui una comunità linguistica categorizza il mondo e quali sono gli oggetti, i sentimenti e le attività principali per quella comunità. Ad esempio gli eschimesi hanno tantissimi modi diversi per definire la neve, perché essa è l’elemento più importante dell’ambiente in cui vivono. La lingua, quindi, dice molto di noi e del nostro modo di pensare. Per questo, quando la Commissione nazionale per la realizzazione della parità tra uomo e donna pubblica una guida dal titolo “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua”, in cui si riflette sul rapporto tra una lingua per tradizione “maschilista” e la conquista, da parte delle donne, di professioni e ruoli tradizionalmente affidati agli uomini, non si può minimizzarne l’importanza. Le parole non sono solo suoni o segni grafici su una pagina bianca, ma possono persino dare l’idea del grado di parità raggiunto tra uomini e donne in una determinata società e, se si analizza la lingua italiana, si capisce subito che quest’uguaglianza non è stata affatto raggiunta. I sostantivi che designano le professioni, infatti, raramente hanno un femminile. Basta pensare alle parole avvocato, ingegnere, medico, consigliere: il femminile non è mai usato, anche se basterebbe seguire le regole della grammatica per formarlo correttamente. Così l’avvocato donna diventerebbe semplicemente un’avvocata e l’ingegnere donna un’ingegnera. Avvocata può suonare male, ma è solo questione di abitudine. Non si tratta di una polemica inutile, ma della necessità di cambiare la mentalità delle persone agendo sulla lingua, che altro non è che l’espressione concreta del pensiero e che permea ogni settore della nostra vita, perché è su di essa che si basa ogni nostra relazione sociale
Se non c’è parità nel linguaggio, non c’è parità nemmeno nella società che a quel linguaggio dà vita.
Michela Zorzi