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06 giugno, 2006

LA GRANDE PROVOCAZIONE DI ZYGMUNT BAUMAN

Il sociologo ha incantato l’Auditorium S. Chiara, gremito di persone : si smarca da un’economia fondata sui numeri ma non avvertita dalla gente. Critica la potenza americana, « fondata sulla guerra » e sprona il Vecchio Continente a sperimentare la società di domani

Il vecchio maestro parla in piedi, appoggiato al leggio e guidato dai suoi appunti scritti a macchina. Il peso dei suoi 81 anni sembra svanire quando Zygmunt Bauman guarda oltre, verso il teatro dove si sono raccolte due mila persone (900 in sala e il resto in cinque spazi serviti da maxi schermo) che in silenzio ascoltano la sua lezione. Con un guizzo di umiltà ironica si smarca subito dall’etichetta formale del Festival – l’economia – così da guadagnare agilmente la prateria del pensiero, luogo immaginario che lui ama attraversare con il conforto della bussola che solo a pochi grandi di ogni epoca è concesso padroneggiare.
“Mi hanno invitato per errore a questo straordinario Festival – esordisce sornione il maestro – perché di economia proprio non ci capisco nulla. Ciò provato per anni, ho tentato di capire l’economia reale, mi sono applicato, ma questa materia non mi ha mai portato ad una conclusione solida certa. Come potevo capire una scienza che mi consegna un’immagine fiorente dell’economia americana ma che nulla mi spiega se le persone non avvertono alcun beneficio tangibile. A Bush riesce di spiegare alla gente, grazie a questa scienza immaginaria, le ragioni dell’aumento della bolletta energetica”.
Risate, applausi e Bauman paga così il ticket al Festival dell’Economia. In realtà, il maestro sa benissimo che il Festival - i suoi organizzatori e, soprattutto, il pubblico – da lui si aspetta esattamente tutt’altro, perché proprio l’interdisciplinarietà è uno degli ingredienti forti della quattro giorni di Trento.
Il maestro inizia dove finisce il sottotitolo del suo intervento (il titolo è “Un pianeta ospitale: la missione dell’Europa”), ovvero dalla constatazione che il nostro continente non è più al centro del mondo. Affermazione amara, foriera di paure e inquietudini per gli inquilini del Vecchio Palazzo, che vedono l’altro mondo inospitale e pericoloso.
“L’Europa ha perso il suo status – esordisce Bauman – per noi è un risveglio doloroso, perché ci rendiamo conto che oggi al massimo siamo i terzi violini dell’orchestra mondiale e che suoniamo una musica scritta da altri”. E da chi? Bauman non ha dubbi: gli Stati uniti. “Sono i veri padroni del mondo – aggiunge il maestro –. Il problema è che il loro potere è basato sulla forza militare”. Gli Usa non sono una potenza economica (“Vivono sui propri debiti”), così come non sono una potenza in campo tecnologico (“Altri paesi hanno assunto la leadership”). “L’America – sottolinea Bauman - spende in armi quanto i 25 paesi più spendaccioni insieme. Gli Usa rimodellano il mondo utilizzando il loro strapotere militare, nonostante i risultati poco incoraggianti. Il peggio è che il loro ‘modus operandi’ li ha trasformati nella baby-sitter dell’anarchia. L’uso della forza, e l’Iraq lo testimonia, non risolve i problemi”.
A questo punto, il maestro recupera la Vecchia Padrona, non più sicura di sé e un po’ depressa. L’Europa può fare davvero qualcosa di importante per rendere il mondo più ospitale. Se è vero - è la realtà sta lì a dimostrarlo - che l’Europa non è più una potenza militare e che economicamente la situazione è buona ma non ottimale, al Vecchio Continente non rimane che ripartire da “due punti di forza” che gli sono ancora riconosciuti: la varietà della cultura e il multilinguismo. Due punti sui quali Bauman prefigura la realizzazione di quella che sarà la “futura rappresentanza mondiale”. Insomma, se il gigante americano imploderà – “così come successe nel quinto secolo all’impero romano, con la sola differenza che, vivendo in una società liquida il processo sarà molto più veloce” - la speranza di una soluzione universale plausibile passa proprio attraverso il modello politico e culturale europeo. “L’Europa – rilancia Bauman - deve trovare il coraggio e l’entusiasmo di trasformarsi, di evolversi in un laboratorio continentale in cui giorno per giorno si sperimenta la futura società mondiale. L’Europa ha costruito un’unità, dimostrando che è possibile vivere come gli altri e con gli altri. E questo è un compito umano fondamentale. E la stessa Europa ha fatto proprio il valore di vivere con gli altri in spazi ristretti. L’Unione europea è il risultato di una decisione di stati solidali che hanno accettato di condividere il destino; in futuro saremo chiamati a ricondividere questa avventura a livello mondiale. In questo senso l’Europa è una scuola che evidenzia la differenza tra sopravvivenza e progresso: oggi, per milioni di persone, la prospettiva è la sopravvivenza, non certo il progresso”.
Secondo Bauman è questa la “dote” che l’Europa può portare nel matrimonio mondiale. Con un’avvertenza: il percorso sarà lungo, difficile e l’esito per nulla scontato: “Sarà come salire, con passo montano, il pendio irto e faticosissimo di una montagna. Oggi non vediamo il passo che ci permetterà di scollinare e, soprattutto, non sappiamo cosa troveremo sull’altro versante”.
“Certo – afferma a sorpresa Bauman, quasi a spegnere la fiammella di speranza appena sprigionatasi – l’Europa non è un buon posto dove cominciare, solo di recente abbiamo imparato a superare le difficoltà, ma non possiamo non partire da qui”.
Bauman affida la sua conclusione a Franz Kafka, il quale esorta il lettore a percorrere i corridoi, aprire le porte, salire al piano superiore e a salire le scale all’infinito. Verso l’utopia chiamata “mondo migliore”.