RALPH DAHRENDORF: LA DIVERSITA' FA RICCA L'EUROPA
“Le frontiere sono importanti, ma bisogna che siano aperte. L’unione non deve fare del Vecchio continente una potenza mondiale, deve promuovere cosmopolitismo e libertà”.
Ultimo, attesissimo appuntamento del Festival dell’economia di Trento al Centro Santa Chiara con il grande economista di origine amburghese – ma inglese d’adozione e membro della Camera dei Lord – sir Ralf Dahrendorf. Nelle sue parole, la difesa di un’Europa che deve fare delle diversità racchiuse all’interno dei propri confini il principale punto di forza, rifuggendo invece dalla tentazione di armonizzare in maniera troppo stretta l’economia e la politica degli stati membri e di proporsi come una nuova, grande potenza sullo scacchiere mondiale.
Dahrendorf è stato introdotto da Riccardo Chiaberge, responsabile della redazione cultura e del domenicale del “Sole 24 Ore”, il quale ha ricordato come nel corso della sua lunga carriera lo studioso, ripercorrendo implicitamente anche le varie tappe della sua vita, abbia parlato della necessità di varcare le frontiere, e di come le frontiere abbiano ragione di esistere, ma “debbano rimanere aperte”.
Riprendendo questo spunto, Dahrendorf ha iniziato la sua esposizione, dedicata all’Europa, spiegando che l’Europa, a suo giudizio, sia in una fase di diversità attiva, più che di semplice unificazione. “Oggi in molti sottolineano l’importanza della diversità, e anch’io mi unisco alle loro voci. Non sempre afferriamo che ogni Stato è portatore di interessi e di valori che rimandano al suo passato, alle sue tradizioni. Ma soprattutto, le diversità riguardano il modo di concepire la politica e l’economia”.
Dahrendorf a questo proposito ha prodotto una serie di esempi. Sul piano politico, le recenti elezioni in Inghilterra e Germania hanno avuto esiti simili: in entrambe i paesi le differenze fra i due partiti maggiori erano ridotte. Ma nel primo caso ne è uscito un esecutivo forte, dotato di una maggioranza stabile in Parlamento, mentre nel secondo caso una “grande coalizione”. Ciò non è dato altro che dalla profonda differenza nel modo di concepire la competizione politica nei due paesi.
Similmente, diversità molto grandi si riscontrano nel modo di guardare all’economia, alla diseguaglianza, allo stato sociale: in alcuni paesi, ad esempio, i cittadini sono più allergici alle diseguaglianze e sono disposti a pagare di più, anche in termini di tasse, al fine di avere un sistema di welfare forte, mentre in altri i cittadini non ritengono che le diseguaglianze vadano corrette con un deciso intervento dello stato e preferiscono conservare più soldi nel loro portafoglio.
“Tuttavia – ha proseguito Dahrendorf – da uno studio sui redditi medi realizzato recentemente risulta che le diseguaglianze fra i redditi più alti e quelli più bassi sono in aumento, anche se in maniera differente fra stato e stato, o meglio fra blocchi di stati. L’impressione è che ciò sia dovuto alla globalizzazione, e che almeno in una fase iniziale di dinamismo economico la diseguaglianza sia destinata a crescere”.
Quale risposte deve dare l’Europa a questo fenomeno? Secondo Dahrendorf l’importante è non cercare di produrre una risposta standard, a cui tutti debbano necessariamente attenersi. Anche perché a suo giudizio “un modello unico di stato sociale in Europa non c’è, ci sono differenze notevoli fra paese e paese”.
Ritorna quindi il quesito iniziale: quale Europa vogliamo? Quale Europa deve sembrarci desiderabile? “Non quella della strategia di Lisbona – chiarisce Dahrendorf – che peraltro non è riuscita ad imporsi, proprio perché troppo rigida rispetto alle diversità. Dovremmo tradurre quella piattaforma in un menù di Lisbona, in un insieme di proposte dal quale ciascuno stato possa scegliere ciò che meglio si adatta alle sue esigenze e ai suoi orientamenti. Questo non significa che l’Europa è destinata a rimanere divisa, niente affatto. Ma che essa continuerà ad essere un continente altamente diversificato”.
Bene ha fatto quindi l’Europa per Dahrendorf a creare un mercato comune, caratterizzato non da una indebita armonizzazione fra le diverse economie che ne fanno parte ma dalla creazione di un insieme di regole condivise. “Questo è il quadro che ci dobbiamo dare; e lo stesso principio vale per la libertà di circolazione delle persone, compresi gli studenti”.
Pollice verso dal grande scienziato sociale, invece, per gli Stati Uniti d’Europa, intesi come una nuova superpotenza orientata magari a competere con gli Stati Uniti. “Tremo all’idea di un mondo fatto di poli o di blocchi – ha concluso Dahrendorf - . Vorrei vedere invece l’Europa come una fase importante di un mondo cosmopolita, fatto di maggiore dinamismo e di libertà per tutti”.
Il folto pubblico che gremiva la sala ha riservato quindi a sir Ralf Dahrendorf l’ultima, corale ovazione di queste giornate.
Ultimo, attesissimo appuntamento del Festival dell’economia di Trento al Centro Santa Chiara con il grande economista di origine amburghese – ma inglese d’adozione e membro della Camera dei Lord – sir Ralf Dahrendorf. Nelle sue parole, la difesa di un’Europa che deve fare delle diversità racchiuse all’interno dei propri confini il principale punto di forza, rifuggendo invece dalla tentazione di armonizzare in maniera troppo stretta l’economia e la politica degli stati membri e di proporsi come una nuova, grande potenza sullo scacchiere mondiale.
Dahrendorf è stato introdotto da Riccardo Chiaberge, responsabile della redazione cultura e del domenicale del “Sole 24 Ore”, il quale ha ricordato come nel corso della sua lunga carriera lo studioso, ripercorrendo implicitamente anche le varie tappe della sua vita, abbia parlato della necessità di varcare le frontiere, e di come le frontiere abbiano ragione di esistere, ma “debbano rimanere aperte”.
Riprendendo questo spunto, Dahrendorf ha iniziato la sua esposizione, dedicata all’Europa, spiegando che l’Europa, a suo giudizio, sia in una fase di diversità attiva, più che di semplice unificazione. “Oggi in molti sottolineano l’importanza della diversità, e anch’io mi unisco alle loro voci. Non sempre afferriamo che ogni Stato è portatore di interessi e di valori che rimandano al suo passato, alle sue tradizioni. Ma soprattutto, le diversità riguardano il modo di concepire la politica e l’economia”.
Dahrendorf a questo proposito ha prodotto una serie di esempi. Sul piano politico, le recenti elezioni in Inghilterra e Germania hanno avuto esiti simili: in entrambe i paesi le differenze fra i due partiti maggiori erano ridotte. Ma nel primo caso ne è uscito un esecutivo forte, dotato di una maggioranza stabile in Parlamento, mentre nel secondo caso una “grande coalizione”. Ciò non è dato altro che dalla profonda differenza nel modo di concepire la competizione politica nei due paesi.
Similmente, diversità molto grandi si riscontrano nel modo di guardare all’economia, alla diseguaglianza, allo stato sociale: in alcuni paesi, ad esempio, i cittadini sono più allergici alle diseguaglianze e sono disposti a pagare di più, anche in termini di tasse, al fine di avere un sistema di welfare forte, mentre in altri i cittadini non ritengono che le diseguaglianze vadano corrette con un deciso intervento dello stato e preferiscono conservare più soldi nel loro portafoglio.
“Tuttavia – ha proseguito Dahrendorf – da uno studio sui redditi medi realizzato recentemente risulta che le diseguaglianze fra i redditi più alti e quelli più bassi sono in aumento, anche se in maniera differente fra stato e stato, o meglio fra blocchi di stati. L’impressione è che ciò sia dovuto alla globalizzazione, e che almeno in una fase iniziale di dinamismo economico la diseguaglianza sia destinata a crescere”.
Quale risposte deve dare l’Europa a questo fenomeno? Secondo Dahrendorf l’importante è non cercare di produrre una risposta standard, a cui tutti debbano necessariamente attenersi. Anche perché a suo giudizio “un modello unico di stato sociale in Europa non c’è, ci sono differenze notevoli fra paese e paese”.
Ritorna quindi il quesito iniziale: quale Europa vogliamo? Quale Europa deve sembrarci desiderabile? “Non quella della strategia di Lisbona – chiarisce Dahrendorf – che peraltro non è riuscita ad imporsi, proprio perché troppo rigida rispetto alle diversità. Dovremmo tradurre quella piattaforma in un menù di Lisbona, in un insieme di proposte dal quale ciascuno stato possa scegliere ciò che meglio si adatta alle sue esigenze e ai suoi orientamenti. Questo non significa che l’Europa è destinata a rimanere divisa, niente affatto. Ma che essa continuerà ad essere un continente altamente diversificato”.
Bene ha fatto quindi l’Europa per Dahrendorf a creare un mercato comune, caratterizzato non da una indebita armonizzazione fra le diverse economie che ne fanno parte ma dalla creazione di un insieme di regole condivise. “Questo è il quadro che ci dobbiamo dare; e lo stesso principio vale per la libertà di circolazione delle persone, compresi gli studenti”.
Pollice verso dal grande scienziato sociale, invece, per gli Stati Uniti d’Europa, intesi come una nuova superpotenza orientata magari a competere con gli Stati Uniti. “Tremo all’idea di un mondo fatto di poli o di blocchi – ha concluso Dahrendorf - . Vorrei vedere invece l’Europa come una fase importante di un mondo cosmopolita, fatto di maggiore dinamismo e di libertà per tutti”.
Il folto pubblico che gremiva la sala ha riservato quindi a sir Ralf Dahrendorf l’ultima, corale ovazione di queste giornate.
www.festivaleconomia.it
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