mimpegnomanontroppo

30 novembre, 2005

CHEBELLECHESIAMO

e' una notte di quelle
che non riesco a dormire
mi rigiro nel letto e non so
cosa mi puo' mancare
cos'e' che mi tiene sveglio
poi tutto ad un tratto
avverto che
mi manca un brivido
un'emozione
una senzazione
e vorrei urlare
tutti quanti svegliare
ma non si puo'
poi decido di alzarmi
cerco di distrarmi
poi mi affaccio di fuori
e vedo te
il cielo e pieno di stelle
e comincio a cadere
e mi accorgo
che una di quelle sei tu.
ed ecco un brivido
un'emozione
una senzazione
e vorrei chiamarti
ma dovrei svegliarti
e non si puo'certe ore no
e il mio eterno amore.
la notte se ne sta' andando
con se ti sta' portando
e si sta' portando via
anche un brivido
un'emozione
una senzazione
e dovrei dormire
invece di amare
perche' non si puo'
in certe ore no.
ma era solo un brivido
un momento magico
una senzazione
un'emozione
una senzazione
un'emozione
solo un brivido.
solo un brivido.

29 novembre, 2005

A VOLTE TI ILLUDI...MA NON SEMPRE ACCADE CHE...


Oh, quale luce vedo sprigionarsi
lassù, dal vano di quella finestra?
È l’oriente, lassù, e Giulietta è il sole!
Sorgi, bel sole, e l’invidiosa luna
già pallida di rabbia ed ammalata
uccidi, perché tu, che sei sua ancella,
sei di gran lunga di lei più splendente.
Non restare sua ancella, se invidiosa
essa è di te; la verginal sua veste
s’è fatta ormai d’un color verde scialbo
e non l’indossano altre che le sciocche.
Gettala via!… Oh, sì, è la mia donna,
l’amore mio. Ah, s’ella lo sapesse!
Ella mi parla, senza dir parola.
Come mai?… È il suo occhio
che mi discorre, ed io risponderò.
Oh, ma che sto dicendo… Presuntuoso
ch’io sono! Non è a me, ch’ella discorre.
Due luminose stelle,
tra le più fulgide del firmamento
avendo da sbrigar qualcosa altrove,
si son partite dalle loro sfere
e han pregato i suoi occhi di brillarvi
fino al loro ritorno… E se quegli occhi
fossero invece al posto delle stelle,
e quelle stelle infisse alla sua fronte?
Allora sì, la luce del suo viso
farebbe impallidire quelle stelle,
come il sole la luce d’una lampada;
e tanto brillerebbero i suoi occhi
su pei campi del cielo, che gli uccelli
si metterebbero tutti a cantare
credendo fosse finita la notte.
Guarda com’ella poggia la sua gota
a quella mano… Un guanto vorrei essere,
su quella mano, e toccar quella guancia!
WILLIAM SHAKESPEARE
Romeo e Giulietta
atto II


"I sogni son desideri di Felicità...
tu sogna e spera fermamente,
dimentica il presente e il sogno realtà diverrà..."

Cenerentola di Walt Disney


l'attesa è la parte più bella
della festa

A
chi
ama
dormire
ma si sveglia
sempre di buon
umore, a chi saluta
ancora con un bacio, a
chi lavora molto e si diverte di
più, a chi va in fretta in auto ma
non suona ai semafori, a chi arriva
n ritardo ma non cerca scuse, a chi spegne
la televisione per fare due chiacchiere, a chi è
felice il doppio quando fa a metà, a chi si alza presto
per aiutare un amico, a chi ha l'entusiasmo di un bambino
e pensieri da uomo, a chi vede nero solo quando è buio
a chi non aspetta Natale
per essere
Migliore

SCENDE DI NUOVO...

OVER THE RAINBOW

Somewhere over the rainbow
Way up high
There's a land that I heard of
Once in a lullaby
Somewhere over the rainbow

Skies are blue
And the dreams that you dare to dream
Really do come true
Some day I'll wish upon a star

And wake up where the clouds are far behind me
Where troubles melt like lemondrops
Away above the chimney tops
That's where you'll find me
Somewhere over the rainbow

Bluebirds fly
Birds fly over the rainbow
Why then, oh why can't I?
Some day I'll wish upon a star
And wake up where the clouds are far behind me
Where troubles melt like lemondrops
Away above the chimney tops
That's where you'll find me
Somewhere over the rainbow

Bluebirds fly
Birds fly over the rainbow
Why then, oh why can't I?
If happy little bluebirds fly

Beyond the rainbow
Why, oh why can't I?

Israel Kamakawiwo'ole e Louis Armstrong

28 novembre, 2005


stefimiki

Against that time, if ever that time come (Sonnet 49)



Against that time, if ever that time come,
When I shall see thee frown on my defects,
When as thy love hath cast his utmost sum,
Called to that audit by advised rspects:
Against that time when thou shalt strangely pass,
And scarcely greet me with that sun, thine eye,
When love, converted from the thing it was,
Shall reasonsfind of settled gravity:
Against that time o I ensconce me here
Within the knowledge of mine own desert,
And this my hand against myse lf uprear,
To guard the lawful reasons on thy part
To leave poor me thou hast the strength of laws,
Since why to love I can allege no cause

William Shakespeare

Per quel giorno, se mai verrà quel giorno,
in cui ti vedrò accigliare ad ogni mio difetto,
e chiuderà il tuo amore il suo conto estremo
spinto a tal giudizio da sagge riflessioni:
per quel giorno in cui m'incontrerai da estraneo
senza volgere al mio viso il sole dei tuoi occhi,
e l'amor, mutato da quel era un tempo,
troverà ragioni di una certa gravità:
per quel giorno, dovrò cercare asilo
dentro la coscienza dei miei soli meriti,
e alzerò davanti a me questa mia mano
per parare quanto addurrai a tua ragione.
Per lasciar me miserabile tu hai la forza delle leggi
mentre io d'esser amato non posso vantar diritti.

E' TORNATO IL SOLE...

l'immagine è opera di Pietro...ringrazio per la gentile concessione...

Sono giunto a rendermi conto
che perdere il proprio tempo è un modo di impiegarlo,
non perderlo è un altro modo di impiegarlo,
e non preoccuparsi di continuare a perdere tempo
anche sapendo che è una perdita di tempo
è un altro modo di impiegarlo.

C.Sheng Tan



In questo periodo della mia vita, in cui mi sembra di perdere molto tempo, mi affido a questo pensiero nella speranza di capire il valore del tempo ed iniziare a perderlo nel modo migliore..."C'è tempo" ripete Ivano Fossati...un tempo per seminare e un tempo per raccogliere...Ne è convinta anche la mia amica Massie...

27 novembre, 2005


...certevolteaccadeche...felice...

26 novembre, 2005


un giorno aprirò quella porta...
tu sarai la mia luce...
un giorno...

L'AMORE PENSATO

Un giorno apriremo una porta
d'entrata
tu bianca e fatata
sarai la mia luce
io nuovo marito o compagno d'altare
quel giorno speciale
Daniela velluto
di cuore e di mani
finiti gli esami fu preda del luglio
e quando in settembre partimmo da
Roma
col sole e la luna per noi
sognavi di avere quel sorriso in tasca
che ho visto su vele in burrasca
il folle volere voglia di andare
sconfigger la noia col dare
che fare o non fare

Daniela non sfoglia mensili arretrati
caduta all'impiedi da un mio
"sono pronto"
urlatole a stento da sotto la doccia
per salvare la faccia
perchè stiamo insieme che cosa ci
lega
chi ci pensa nel miele annega

Di santa pazienza e molto stupore
ma senza pudore tre dubbi di vita
amore in salita due figli o due figlie
ed un puzzle da mille
le poche parole lanciate nel mucchio
sassate su specchio che crepan
silenzi o timidi assensi col cenno del capo
e un bacio non dato
l'amore pensato

Daniela che sfoglia mensili arretrati
caduta all'impiedi da un mio "sono pronto"
urlatole a stento da sotto la doccia
per salvare la faccia
perchè stiamo insieme che cosa ci
lega
chi ci pensa nel miele annega

L'uomo che ama si dibatte in un lago
salato asciugato dal sole
e non prega ma danza silenziosa
presenza agitata che
nessuna musica nota ci spiega perchè
un suono è speranza
ma quest'uomo la nega
e appigliandosi invano a un amore
pensato
[annega]
(Daniela dove sei rispondimi se puoi Daniela cosa vuoi cosa ci lega ormai)
Max Gazzè

25 novembre, 2005

DUE INNAMORATI E IL MARE D'INVERNO


Il mare immenso, l'oceano mare, che infinito corre oltre ogni sguardo, l'immane mare onnipotente - c'è un luogo dove finisce, e un istante - l'immenso mare, un luogo piccolissimo e un istante da nulla.
Alessandro Baricco

E' ARRIVATA...

INNAMORARSI MENTRE SCENDE LA NEVE

Dicono che la primavera sia il periodo in cui ci si innamora più facilmente. Il sole, le temperature più miti, le giornate che si allungano: tutto contribuisce a predisporre all'amore e ai nuovi incontri. E' però in inverno che più si sente la mancanza di qualcuno che ti voglia bene veramente e non a metà. Senza condizioni, premesse, limiti. Qualcuno che ti guardi come se al mondo non ci fosse niente di più perfetto, dolce e poetico di te. Qualcuno che, quando scende la prima neve con tutta la magia che porta con sè, sia lì a guardarla insieme te, entrambi con il naso in su, felici come bambini, stretti in un abbraccio che fa dimenticare anche il freddo. Qualcuno con cui passeggiare mano nella mano per le strade illuminate dalle luci di Natale e con cui poi fermarsi a bere una cioccolata calda in un bar. Qualcuno con cui nascondersi sotto il piumone la notte.
Natale è un periodo che conserva in sè un po' della magia delle fiabe, un momento in cui si ci si aspetta l'arrivo di qualcosa di buono, come da piccoli si aspettava Babbo Natale. A Natale, anche solo per un istante, tutto sembra possibile. Troppo spesso in amore ci accontentiamo di persone che non ci danno nemmeno il minimo e viviamo storie che neanche si avvicinano a quanto ho descritto sopra. Storie che stridono con l'atmosfera incantata della neve che scende e copre tutto di bianco e di silenzio. Sono in attesa di un amore fiabesco come il Natale. E sotto l'albero vi auguro di trovare la voglia di innamorarvi perdutamente.

Michela

22 novembre, 2005


c'è un'ape che si posa
su un bocciolo di rosa
lo succhia e se ne va...
tutto sommato la felicità è una piccola cosa...
Trilussa

21 novembre, 2005

L'ABITO FA IL MONACO: PER CAPIRE, OSSERVATE

Pubblico & privato
di Francesco Alberoni


L’apparenza inganna, l’abito non fa il monaco. Proverbi stupidi che invitano alla pigrizia, perché tutto ciò che noi siamo si oggettiva all’esterno. I nostri sentimenti, i nostri valori, i nostri vizi, le nostre virtù si stampano nel nostro volto, nei nostri gesti, nel nostro linguaggio, nel nostro abbigliamento, nelle cose che leggiamo o non leggiamo, nell’arredamento della casa, dell’ufficio, nella scelta dei nostri amici, dei nostri collaboratori.
Noi siamo dei libri aperti. Ma la gente o ha gli occhi chiusi, o non sa leggere o non lo legge con attenzione. I grandi investigatori sono capaci di cogliere sfumature insignificanti, capiscono se uno è il gregario o il capo di un’organizzazione malavitosa.
Anche i grandi registi, i grandi scrittori sono abituati a osservare e, con pochi particolari, sanno tratteggiarti un personaggio. Ma anche noi possiamo farlo con un po’ di attenzione. Ci si presenta un uomo elegante, vivace, si offre di aiutarci. Lo cerchiamo nella sua impresa e risponde una centralinista sgraziata, ci passa un numero dove non risponde nessuno. Guardiamo la sua homepage su Internet, è caotica, disordinata. Ci basta. Inoltre la gente si tradisce sempre. Basta avere pazienza e ricordare cosa si è visto o sentito. A volte per capire se uno vi farà sbagliare basta dare ascolto a un senso di disagio interiore, a un dubbio che vi ha afferrato mentre faceva la sua proposta.
A volte basta ricordare un frammento di conversazione udito per caso. Ricordo l’episodio di una signora affascinante di cui ero ospite a cena. Passando mi è capitato di sentirla parlare al telefono non so con chi. Vomitava minacce e oscenità con tale furia, con tale odio da fare paura. Per sapere di più di una persona fatela parlare, datele corda, guardatela negli occhi e fate cenno di sì con la testa come se foste affascinati e d’accordo. Poi ponete domande, chiedete chiarimenti dandole un’impressione di complicità. Faceva così l’avvocato Gianni Agnelli. È il metodo usato dall’investigatore Poirot nei libri di Agatha Christie.
Non fatevi trarre in inganno dagli stereotipi, dai pregiudizi. Molti del mondo cattolico pensano che la vera credente debba essere bruttina e vestita in modo dimesso. Io ricordo la stupenda madre badessa del convento di Castelnuovo Fogliani che sembrava una regina. E conosco una mistica che ha la bellezza e l’eleganza di una grande attrice. Ma basta pensare a Papa Wojtyla all’inizio del pontificato, alto, bello, forte, fiero, solenne, magnetico, affascinante.


21 novembre 2005
Corriere della Sera

20 novembre, 2005


You're awful bright
You're awful smart
I must admit you broke my heart.

The Rolling Stones

FANTASTICO CALATRAVA

CHE PIACERE IL QUOTIDIANO


Che piacere il quotidiano...
Dopo una breve assenza sono tornata alle mie abitudini e questa mattina ho recuperato uno dei miei piaceri quotidiani...leggere il giornale! E' una sana abitudine che coltivo fin da piccola quando il giornale entrava a casa con mio padre...da piccoli è difficile leggere il giornale se non c'è qualcuno che lo compra... Con gli anni è sempre rimasto un piacevole appuntamento fisso nel corso della giornata. Lo ritengo indispensabile perchè sono curiosa, perchè mi apre gli orizzonti e mi permette di riflettere. Quando inizi a leggere il giornale non la smetti più. Diviene una sorta di abitudine compulsiva all'acquisto che rimane per sempre. Quando sono via e non riesco a trovare una copia del Corriere, il mio quotidiano preferito, mi sento come come se avessi un filo staccato...il filo del quotidiano! Negli ultimi anni con Google News sono cambiate un pò le abitudini, si possono avere i giornali di tutto il mondo sulla scrivania con un solo clic ma il confronto non si può fare... E' impagabile il piacere nel sentire le paginone scorrere tra le dita...

10 novembre, 2005

SI PARTE...

Ci scusiamo con i nostri lettori per una breve assenza...

08 novembre, 2005

UNA STRADA DA QUI AL MARE


....Ma non importa. Non smetteranno mai di raccontarlo. Perché nessuno possa mai dimenticare di quanto sarebbe bello se, per ogni mare che ci aspetta, ci fosse un fiume, per noi. E qualcuno -
un padre, un amore, qualcuno - capace di prenderci per mano e di trovare quel fiume - immaginarlo, inventarlo - e sulla sua corrente posarci, con la leggerezza di una sola parola, addio. Questo, davvero, sarebbe meraviglioso. Sarebbe dolce, la vita, qualunque vita. E le cose non farebbero male, ma si avvicinerebbero portate dalla corrente, si potrebbe prima sfiorarle e poi toccarle e solo alla fine farsi toccare. Farsi ferire, anche. Morirne. Non importa. Ma tutto sarebbe, finalmente, umano. basterebbe la fantasia di qualcuno - un padre, un amore, qualcuno. Lui saprebbe inventarla una strada, qui, in mezzo a questo silenzio, in questa terra che non vuole parlare. Strada clemente, e bella. Una strada da qui al mare.

Alessandro Baricco.
Oceano Mare.

Sono una parte di tutto ciò che ho trovato sulla mia strada.
A.Tennyson

07 novembre, 2005

THE SCIENTIST


Come up to meet you, tell you I’m sorry, You don’t know how lovely you are. I had to find you, tell you I need you, Tell you I set you apart. Tell me your secrets and ask me your questions, Oh, lets go back to the start. Running in circles, coming in tales, Heads are a science apart. Nobody said it was easy, It's such a shame for us to part. Nobody said it was easy, No-one ever said it would be this hard, Oh take me back to the start. I was just guessing at numbers and figures, Pulling your puzzles apart. Questions of science, science and progress, Do not speak as loud as my heart. And tell me you love me, come back and haunt me, Oh and I rush to the start. Running in circles, chasing tails, And coming back as we are. Nobody said it was easy, oh its such a shame for us to part. Nobody said it was easy, No-one ever said it would be so hard. Im going back to the start.

The Scientist. A rush of blood to the head. Coldplay.


CHI OSA...VINCE
Elizabethtown

ISTANTI

Jorge Luis Borges – "Istanti"

Se potessi vivere di nuovo la mia vita.
Nella prossima cercherei di commettere più errori.
Non cercherei di essere così perfetto, mi rilasserei di più.
Sarei più sciocco di quanto non lo sia già stato,
di fatto prenderei ben poche cose sul serio.
Sarei meno igienico.

Correrei più rischi,
farei più viaggi,
contemplerei più tramonti,
salirei più montagne,
nuoterei in più fiumi.

Andrei in più luoghi dove mai sono stato,

mangerei più gelati e meno fave,
avrei più problemi reali, e meno problemi immaginari.

Io fui uno di quelli che vissero ogni minuto
della loro vita sensati e con profitto;
certo che mi sono preso qualche momento di allegria.

Ma se potessi tornare indietro, cercherei
di avere soltanto momenti buoni.
Ché, se non lo sapete, di questo è fatta la vita,
di momenti: non perdere l'adesso.

Io ero uno di quelli che mai
andavano da nessuna parte senza un termometro,
una borsa dell'acqua calda,
un ombrello e un paracadute;
se potessi tornare a vivere, vivrei più leggero.

Se potessi tornare a vivere
comincerei ad andare scalzo all'inizio
della primavera
e resterei scalzo fino alla fine dell'autunno.

Farei più giri in calesse,
guarderei più albe,
e giocherei con più bambini,
se mi trovassi di nuovo la vita davanti.

Ma vedete, ho 85 anni e so che sto morendo.

Io non ho vissuto neanche un minuto della mia vita in modo sensato e con profitto. Ho sbagliato mille volte, ho perso la strada, ho cambiato idea, ho cambiato città, università, sono rimasta indietro, ho perso la testa per amore. Sono stata sciocca tante volte. Ho agito d'impulso. Senza pensare. Mi sono innamorata delle persone sbagliate. Ho preso tante cose alla leggera.

Non ho 85 anni. Non sto per morire. Ma mi sento spesso in colpa perchè avrei potuto essere "più brava" di quello che sono: già laureata, fidanzata con un bravo ragazzo, con i piedi per terra e non con la testa tra le nuvole.

Se non fossi stata così imperfetta però, non avrei vissuto tanti istanti perfetti. Se il mio percorso fosse stato lineare e senza battute d'arresto, tante cose bellissime mi sarebbero passate accanto e io non me ne sarei nemmeno accorta.

A volte si imparano più cose perdendosi che seguendo una strada senza avere alcun dubbio.

Del resto i fiumi arrivano al mare facendo un percorso tre volte più lungo di quello necessario. Ma se non ci fossero i laghi, le curve e le cascate perderebbero gran parte della loro bellezza.

Miky.



06 novembre, 2005


Lights will guide you home
and ignite your bones.

And I will try to fix you.

Coldplay

03 novembre, 2005

A VOLTE RITORNANO...MA DON'T DATE THEM AGAIN...


mandateci il vostro contributo...


Godi delle piccole cose, perché un giorno
ti guarderai indietro e ti accorgerai che erano grandi.

R.Brault

02 novembre, 2005

BUON ANNO!

Mancano pochi mesi all’anno nuovo e nell’attesa del 2006 voglio raccontare a voi, lettori affezionati od occasionali che siate di questo diario virtuale, il mio ultimo capodanno, a cui ha partecipato anche l’altro membro del team “mimpegnomanontroppo”.
Pochi giorni prima del fatidico 31 l’unica prospettiva che avevo era quella di passare la serata con la mia gatta sul divano. Ero disperata, a tal punto da accettare la proposta di un’amica di andare con le CIASPOLE (!!!!!) a 1500 metri d’altezza.
Capodanno: l’occasione che tutte le ragazze aspettano per sfoggiare abiti da sera eleganti con scollatura abissale e tacchi vertiginosi.
E io andavo in cima ad una montagna.
In tuta da sci.
Perché non penso prima di parlare? Perché?
Era meglio il divano. Era meglio il mio gatto. Tutto era meglio di un lunga e lenta marcia nella neve per raggiungere un rifugio senza riscaldamento, con un solo bagno e con delle stanze/loculi/grotte di due metri per uno. Ho tentato di consolarmi pensando al fantastico cenone che mi aspettava. Poi ho saputo che il menu era esclusivamente a base di carne.
E io sono vegetariana.
I tentativi di simulare raffreddore, tosse, vertigini, slogature, distorsioni sono stati smascherati uno dopo l’altro. Mi sono rassegnata e ho formulato in anticipo un buon proposito: non dire più di sì a proposte che sembrano più pericolose di una pubblicità della “Sector, No limits”.
Dopodiché ho fatto i bagagli, ovvero ho riempito di cose inutili uno zaino da montagna alto 10 cm più di me, di quelli che se solo perdi l’equilibrio, ti ritrovi schiena a terra senza alcuna possibilità di rialzarti.
Alla partenza eravamo in dieci. Scorte infinite di cioccolata per tutti, burrocacao, crema solare e contorsionismi per infilarsi quelle ciaspole infernali. Foto di rito tutti sorridenti e poi su per la montagna. Più che una passeggiata sembrava un’arrampicata. Ogni tanto qualcuno rotolava a valle, ma non si poteva soccorrerlo: questione di sopravvivenza. Siamo arrivati alla meta mentre il sole tramontava e l’atmosfera romantica mi ha fatto realizzare con orrore che erano quasi tutte coppiette e che avremmo dovuto dormire tutti assieme. Per essere precisi: io avrei dovuto dormire in un lettone con Max e Laura. Ho pregato che una valanga mi seppellisse per sempre o che una bufera di neve si portasse via il rifugio, ma la neve non si è mossa e il cielo è rimasto sereno. In mio soccorso sono arrivati i giochi a carte in cui chi perde beve. La mia totale incapacità in tutto ciò che richiede logica e strategia, mi ha permesso di diventare “allegra” in pochi turni. In questo però mi ha battuto Stefy, l’ubriacona molesta, che ha fatto passare a tutti una notte insonne straparlando senza tregua. Prima di mezzanotte siamo saliti sulla cima lungo un percorso illuminato dalle fiaccole. Da lassù si dominava il lago di Garda e tutta la valle. Mi sentivo Messner. Ero altissima, purissima, levissima. L’atmosfera magica, l’avvicinarsi dell’ora x e l’alcool hanno avuto il potere di cancellare un intero anno di merda. Potevo finalmente dimenticare il periodo buio in cui il ragazzo con cui stavo da quattro anni mi aveva lasciato. Ero euforica. Il 2004 se ne stava andando per sempre e con lui anche la sfortuna che mi aveva perseguitata per mesi. Iniziava il periodo della rinascita: avrei trovato un nuovo amore, sarei diventata una studentessa modello, avrei imparato a cucinare. Niente poteva fermarmi.
E’ stato in quel momento che le maledette ciaspole mi hanno tradita.
Mi sono ritrovata a faccia in giù nella neve, mentre il mondo festeggiava lo scoccare della mezzanotte. Il mio primo istante nel 2005 era composto al 50% da sfiga e per l’altro 50% da profonda umiliazione. Tutti che si abbracciavano e brindavano felici. Io distesa nelle neve.
Ho sperato con tutto il cuore che il detto: “quello che si fa il primo dell’anno, si fa tutto l’anno" fosse del tutto privo di fondamento.

Ma non lo è.

Michela.


CINQUE MODI DI INFATUARSI (E POI DIRSI ADDIO)

Perché tanti matrimoni, tante convivenze si rompono quasi subito? Spesso perché le due persone si sono unite o sposate senza essere veramente innamorate. E’ facile sbagliare in questo campo. Ed è soprattutto facile nei casi in cui credi sia un innamoramento e, invece, è una infatuazione. Nell'infatuazione la persona si sente appassionatamente innamorata, ma il legame che l'unisce all'altro è debole e quando incomincia la vita quotidiana si accorge di non amarlo più. L'innamoramento invece crea legami stabili perché ci rende plastici, adattabili all'altro, ci porta a vedere il mondo così come lo vede l'amato, ci spinge a fondere le nostre vite quotidiane e le nostre anime.
Io ho studiato cinque tipi di infatuazione. La prima è l'infatuazione erotica basata su una intensissima attrazione sessuale per cui i due amanti vivono facendo all'amore ma non mettono in comune il loro passato, le loro vite, i loro sentimenti più delicati, i loro progetti e quando, dalla fase di euforia erotica, passano alla vita quotidiana si accorgono di non aver nulla da dirsi. L'uomo diventa addirittura impotente. La seconda è l'infatuazione competitiva. Ci sono moltissime persone che provano una folle passione solo quando c'è un rivale a cui strappare la preda. Poi non appena hanno raggiunto il risultato il grande amore istantaneamente scompare. Ho visto decine di uomini che hanno sposato donne bellissime verso cui, dopo pochi mesi, non provavano più nessun interesse e si erano già messi a correre dietro ad altre. La terza è infatuazione da dominio.
Ci sono delle persone che non hanno pace finché non hanno plagiato, reso schiava la persona che credono di amare e, quando ci sono riusciti, quando l'hanno annientata, perdono ogni interesse. La quarta è l'infatuazione divistica: questa è più frequente nelle donne che restano affascinate dall'uomo che emerge in qualcosa, perché è un campione, perché è un cantante, perché è potente, perché tutte lo cercano, perché lo applaudono. Poi vivendoci insieme si accorgono che è pieno di difetti e lo rifiutano. Vi è infine una infatuazione oggi frequentissima fra i giovani che deriva dalla mancanza di progetto. Essi vivono nel presente, non pensano al futuro, a quali problemi dovranno affrontare, non se ne curano. Scopriranno le loro profonde differenze appena sposati. Guai seri quindi, a cui c'è un solo rimedio: imparare ad analizzare le proprie emozioni, le proprie passioni e quelle della persona che ci interessa con serietà e con intelligenza.
Francesco Alberoni
31 ottobre 2005,Pubblico & Privato, Corriere della Sera

FOTORICORDO

INEFFICACI ANTIDOTI DI PRIMAVERA

Come non sfuggire all’imperativo del weekend e alle baciosità stagionali

Una delle quattrocento volte in cui ci siamo lasciati, una delle quattrocento volte in cui tu hai fatto mezza telefonata presumibilmente riconciliatoria alla quale io non ho risposto e ti sei ben guardato del farne una seconda (mezza seconda) perché già ti parevano troppo sforzo quei tre squilli, una delle quattrocento volte che abbiamo smesso di frequentarci così, come niente, come fossimo due ottenni che fanno amicizia in spiaggia e poi si perdono di vista col ritorno a scuola, una delle volte che in cui tu te ne sei come al solito fregato, io sono andata come al solito a fare shopping per consolarmi.
Siccome era un anno davvero disgraziato Miuccia Prada aveva fatto i tacchi a cono e nessuno aveva fatto dei pantaloni che mi facessero sembrare Katharine Hepburn (esistono, sono pantaloni magici tagliati con forbici immerse in acqua santa, esistono lo giuro li possiedo – e non ne rivelerò la marca neppure a te, che poi capisci che io non sono davvero quella strafiga che spegne la luce prima di slacciare la lampo), siccome non sapevo come dissipare danaro e consolarmi della mia infelicità, allora comprai un cellulare. Siccome non so perché ma pare che – come l’hamburger con le patatine o Tom con Jerry – non sia dato di avere solo la metà utile del pacchetto (Tom, le patatine), insieme al cellulare mi diedero una nuova scheda col suo bravo nuovo numero. Ovviamente non resistetti neppure dodici ore e quella sera, sentendomi un genio della strategia sentimentale, ti mandai un messaggio. Nella mia sceneggiatura, tu ti saresti molto incuriosito, per buona educazione non avresti potuto chiedere chi diavolo fossi però, siccome il messaggio sarebbe stato inequivocabilmente femminesco, non avresti resistito alla tentazione di flirtare, saremmo andati avanti per settimane, il mistero si sarebbe fatto sempre più misterioso, una conclusione ancora non me l’ero raffigurata ma supponevo che fosse plausibile che, esattamente come Tom Hanks, tu arrivassi sulla collinetta con il cane e “Over the rainbow” in sottofondo (un coming out?), e allora io come Meg Ryan ti avrei detto che avevo sempre sperato fossi tu, e poi avremmo vissuto felici e contenti prendendo molti frappuccini, pazienza se intanto tu mi avevi costretta a chiudere la libreria con la tua globalizzazione del cazzo, tanto cosa conta l’antica libreria di famiglia quando si ha un marito miliardario? Nella mia sceneggiatura andava più o meno così, quindi ho riflettuto cinque secondi e ho deciso di agire sul tuo inconscio, contando sul fatto che avessi dimenticato di avermi raccontato (dieci secondi dopo avermi incontrata per la prima volta, prima ancora di dirmi che le mie scarpe ti facevano schifo e i miei gusti musicali pure) che la tua tattica per vincere le resistenze di signorine conosciute da poco era, subito dopo esserti congedato, inviare un sms: “Già mi manchi”. Sostenevi che il “mi manchi” facesse squagliare le femmine. Io sostenevo fossi uno stronzo. Entrambi, a distanza di anni, sosteniamo ancora le stesse cose. Comunque, ti mando questo benedetto “mi manchi”, in modo che tu sia certo di conoscermi ma non della mia identità (a quante mancavi? e soprattutto: perché? voglio dire, io son malata di mente, ma una normale, una che abbia avuto un’infanzia mediamente infelice, perché dovrebbe sentire la tua mancanza? e, soprattutto: dove le incontri, tutte queste stronze cui poi manchi, che a me dici sempre che hai tanto da lavorare e neppure il tempo di pranzare mangerò un tramezzino qua sotto magari ci si sente più tardi – frequentano tutte il bar lì sotto? spalmano professionalmente di maionese i tramezzini uovo e salame e si offrono di fare lo stesso coi tuoi mollicci pettorali? e i tramezzini, poi, li mangiano o sono di quelle perennemente a dieta che ti forniscono pretesto per antipatici paragoni e per dire al cameriere ogni volta che ceniamo insieme“per lei due di tutto”?). Tu mi rispondi poco dopo, con un messaggio fintointerlocutorio e finto-divertito, “devi essere una delle molte ammiratrici occasionali”, andiamo avanti un po’ così, io cerco di essere ambigua (che mi riesce malissimo), tu cerchi di essere feroce (che ti riesce benissimo), butti lì nomi tipo “consuelo”, “demetria” e altre improbabilità. A un certo punto ti viene sonno, o comunque il gioco ti stufa, perché lo concludi d’ufficio con un messaggio che stronca ogni velleità di risposta. “Comunque era ‘già mi manchi’. Uff, sei sempre imprecisa”. E’ stato allora che mi sono innamorata di te.
* * *
La stagione dei fine settimana è cominciata e sembra che non ci si possa proprio sottrarre. L’imbarco dell’aliscafo per Ischia non somiglia per niente a quello del pullman per gli Hampton, di fronte a me ci sono due adolescenti maschi orrendi come può esserlo solo un adolescente maschio,con scarpe too-logo, brufoli d’ordinanza, tinture sbagliate e uno dei due persino una maglietta che dovrebbe essere spiritosa, c’è il disegno di quattro
piedi incrociati e la scritta “sex instructor, 1st lesson free”, ed è chiaro che quello lì è credibile come sex instructor quanto io lo sono nei panni di maestro zen. Comunque, nei venti minuti in cui l’aliscafo ritarda l’attracco, i due sembrano due animali in stato di riproduzione ripresi dalle telecamere del National Geographic: si graffiano, si pizzicano, si mordono, si mettono le mani addosso in una simulazione di lotta che ha tutte le caratteristiche di una non-simulazione di petting,in flussi noti solo a loro si calmano e poi ricominciano sempre, di comune accordo chiedono tregue che altrettanto di comune accordo non rispettano, si lasciano segni che poi si mostrano vicendevolmente un po’ orgogliosi e un po’ vezzosi, rispondendo a comandi che devono essere ultrasuoni che colgono solo i ricettori della loro fascia d’età perché non li percepisco io ma neanche il pupo biondo che avrà quattr’anni e che continua a giocar nella sedia a fianco alla loro
proprio come niente fosse. Mentre si avvinghiano in morsi, graffi, dolore, piacere, rabbia, divertimento, io tiro fuori il biglietto dell’aliscafo e scarabocchio in un angolo: più avanti negli anni, come li sfoghiamo, tutti quegli ormoni? Dev’essere per questo che mi sono innamorata di te.
***
Dev’essere la primavera. Si innamorano tutti, in una misura che trascende persino i miei cliché. Madri mollano la famiglia per quasi-sconosciuti, scapoli fino a un quarto d’ora fa anaffettivi scrivono alla nuova venuta proposte di matrimonio con cuoricini sulle “i”, e tutti, a ogni angolo di strada, si baciano con una vischiosità francamente irritante. Dev’essere la primavera, io ho comprato sei sedie di velluto davvero impegnative, tu le hai guardate un po’ preoccupato, poi,
dopo qualche ora, hai metabolizzato e hai cominciato a irridere la prospettiva di una cena a sei, io ho provato a dirti che non capivo cosa ci fosse da ridere, poi mi sono ricordata che non conosco sei persone, o almeno non così bene da invitarle a cena, o almeno non sei che, a uno stesso tavolo, non finiscano quasi certamente per scannarsi. Dev’essere la primavera: in India una si doveva sposare ma le hanno detto che stava incubando la Sars; lei ha detto “col cazzo che rimando”, o qualcosa del genere, temendo a ragione che passata l’ondata ormonale di stagione lo sposo si tirasse indietro; le hanno detto che gli ospiti, poverini, dopo avrebbero dovuto essere chiusi in quarantena ma lei non si è scomposta, si è sposata con la sua brava mascherina, e gli ospiti che non hanno rinunciato sono stati quarantenati. Dev’essere la primavera, e mentre te lo raccontavo c’era quella canzone di Carmen Consoli in cui lui, “sguardo - intenso e diretto e dita curate e un sarcasmo congenito”, le domanda di sposarlo con “pochi preamboli”, arriva il gran giorno e “l’abito bianco di seta ed’organza, nessuno sposo impaziente all’altare, soltanto un prete in vistoso imbarazzo”. Dev’essere la primavera, e io non so come fare a essere all’altezza delle mie nuove sedie davvero impegnative o della baciosità agli angoli di strada, rischio di non riuscire a riempirle tutt’e sei o – peggio – di ritrovarmi con degli ospiti che si baciano fra di loro escludendomi. Dev’essere la primavera, quella della mia vita oltre che quella di stagione, e l’altro giorno ragionavo che non ho mai ricevuto una proposta di matrimonio e insomma non so neppure che cosa si prova, che faccia si fa, se veramente ci sia gente in ginocchio con l’anello e tutto l’ambaradan previsto dal codice incivile del romanticismo. Tu mi hai guardato con feroce tenerezza e hai detto: “Hai un progetto. E’ chiaro. Evidente. Hai sei sedie, ora ti manca solo un marito. Piccoletta, mica mi vorrai incastrare?”. Io ho detto che no, volevo solo sapere l’effetto che fa, e non è che potevamo per piacere fare come Meryl Streep e Robert Redford in “La mia Africa”, quando lei gli dice che vorrebbe solo che qualcuno un giorno le chiedesse di sposarlo e se gli prometteva
di dire di no lui poteva per favore chiederglielo, ecco io ti avrei detto di no, ma tu potevi, per favore… Tu mi hai guardata negli occhi più a lungo della norma, hai cercato qualcosa che non trovavi, io ho sbattuto più volte le ciglia per vedere se riuscivo a farlo
affiorare ma non dev’essere servito perché tu hai sorriso e hai detto: “Non mi fido”. E io allora mi sono innamorata di te.
* * *
Eva non mi crede mai. Non mi credeva quando ho dichiarato che avrei comprato sei sedie né quando le ho annunciato che sarei andata a Ischia senza di te. Ha detto: “Figuriamoci. Non sei in grado”. Sarai d’accordo con me che era chiaramente una sfida, quindi sono dovuta andare, nonostante non ne avessi nessuna voglia. Eva non mi crede mai, quindi quando l’ho fatta sedere, appoggiare allo schienale e l’ho messa al corrente del fatto che quella sera sarei uscita con un uomo, un uomo che non eri tu, mi ha guardata da sotto in su come a dire “so benissimo che è uno scherzo, mi hai presa per cretina?”. Ho dovuto faticare a convincerla, il che se permetti è surreale, una è lì debole e bisognosa di consigli seduttivi ed è costretta a perder tempo ed energie per convincere la renitente consigliera che ne ha bisogno davvero. Comunque alla fine ci siamo piazzate davanti al mio armadio e abbiamo scelto. Non è quello era già qui sottoper non sentirmi sola/ ho avuto un altro uomo/ ma però ti aspetto ancora”), stavo per dirglielo, mi stavo solo chiedendo se magari concedergli un aperitivo di tempo e poi accampare la sempre valida emicrania, poi lui mi ha guardato le scarpe, ha aggrottato in un modo strano la fronte, si è capito benissimo che non gli veniva una battuta, ha detto “Ehi… ma che scarpe!” Non è stato difficile, dato che il novero si restringeva alle cose a cui non saltano i bottoni se tento di infilarle e come dici sempre tu un giorno dovrò decidermi ad accettare il fatto che la mia gemella magra è defunta e non risorgerà come un personaggio di “Beautiful” e a togliere i suoi vestiti dall’armadio. Abbiamo scelto dei pantaloni bianchi, che fanno tanto cugina incinta di Jackie Kennedy, una maglietta nera, che fa tanto cugina con problemi di tiroide di Kate Moss, e i miei sandali gialli di Miu Miu, quelli coi fiori viola e verdi che ho comprato ormai da un mese e che non ho ancora mai messo perché già sento tutte le battute che faresti e lo sguardo implacabile con cui mi spediresti a mettermi un paio di Superga. Ho investito tredici euro di messinpiega dal parrucchiere qua sotto, perché non avevo ancora deciso se il tizio mi piaceva davvero e insomma l’incognita non valeva una piega di Roberto D’Antonio. Ho fatto la ceretta, ma solo all’inguine, con gran scandalo della mia estetista che pensava scherzassi quando le ho detto che ai polpacci avrei provveduto col rasoio. Ho chiesto a Eva se fosse il caso di indossare il mio nuovo cappello, che mi piace da impazzire ma certo mi rendo conto che forse è un po’ troppo, sandali coi fiori e cappello a tesa larga richiedono più portamento ritto sicurezza sociale e fianchi stretti di quanti io ne possa mai avere anche fra dieci vite e altrettante drastiche rieducazioni.
Eva l’ha guardato, secondo me ha pensato che se mi avesse vista aggirarmi per i vicoli di Roma con quel cappello avrebbe chiamato i vigili urbani, ma siccome è una ragazza educata si è limitata a dire che era “molto carino ma effettivamente non da città”, io le ho detto che infatti era quello che mi ero portata a Ischia, e lei ha sorriso comprensiva: “Hai messo il suo cappello per non sentirti sola”.
A quel punto stavo per disdire l’appuntamento ma ormai quello era già qui sotto, sono scesa col mio sorriso da ragazza educata e lui aveva un sorriso da ragazzo altrettanto educato, non sapevo come fare a dirgli che non ce la facevo, avevo appena capito di non potercela fare, l’avevo capito in ascensore, mentre canticchiavo nervosamente il seguito di quel De Gregori inopportunamente e parzialmente citato da Eva (che, per te che hai
sprecato la tua giovinezza sui Led Zeppelin, è: “Ho messo il tuo cappello per non sentirmi sola/ho avuto un altro uomo ma però ti aspetto ancora”) stavo per dirglielo, mi stavo solo chiedendo se concedergli ancora un aperitivo di tempo e poi accampare la sempre valida emicrania, poi lui mi ha guardato le scarpe, ha aggrottato in un modo strano la fronte, si è capito benissimo che non gli veniva una battuta, ha detto: “Ehi…ma che scarpe!”e io allora ho avuto la certezza di essere innamorata di te.
***
A Ischia facevo dentro e fuori dalle pozze come una cretina per rispondere a telefonate che non erano mai le tue. Quando finalmente mi ero rassegnata ad ascoltare i discorsi da posta del cuore che le donne evidentemente tendono a fare allorché a mollo in liquidi tiepidi (roba tipo “io sono sempre
stata con uomini più vecchi e alla fine mi sono resa conto che in questo modo loro non crescono mai” “comunque venti-quaranta non è come trenta-cinquanta”), tu ti sei deciso a chiamare permettendomi finalmente di comunicarti con studiata disinvoltura che ero partita senza di te. Ti ho
detto che ero a Ischia, e tu hai detto: “Ma per lavoro o per piacere?” – in un tono assolutamente piatto, in cui neppure il mio implacabile ottimismo riusciva a scorgere tracce di gelosia. Ho detto “per piacere” e tu hai sogghignato che andare in vacanza a Ischia è un passo che in genere si fa dopo i sessanta, ma d’altra parte la mia recente intolleranza per i bambini e il mio sfogliare freneticamente riviste d’arredamento ti avevano già fatto sospettare una precoce menopausa. Stavo cominciando a innervosirmi, e tu continuavi a non chiedermi con chi fossi partita, impedendomi di sciorinarti le fantasiose descrizioni di pericolosi rivali che avevo accuratamente preparato, quindi ho chiuso frettolosamente la telefonata e sono tornata a immergermi in quell’acqua grigiastra. Qualcuno ha suggerito di provare la grotta claustrofobica, quella dove non si tocca e ci si sta massimo in due, e l’ideale è andarci con un uomo che così è costretto ad avvinghiartisi addosso, e a quel punto una tizia ha detto che ei col fidanzato non ci sarebbe andata, perché non voleva che lui le si avvinghiasse per una squallida questione di sopravvivenza: “Io voglio un uomo che si avvinghi a me perché vuole morire, non perché vuole vivere”. Se c’è una cosa che mi deprime è il romanticismo altrui, quindi sono uscita e mi sono accorta che non mi ero portata un asciugamano e cazzo proprio in quel momento doveva cominciare a rinfrescare. Ho preso in mano il telefono, segnalava un messaggio, il messaggio era tuo e diceva “Cosa fate stasera? Torneo di bocce?” e allora mi sono rassegnata al fatto che sono innamorata di te.
* * *
Il giorno dopo l’acquisto del telefono misterioso, subito dopo essere finiti a letto senza che tu avessi chiesto scusa o pagato pegno corrispondente all’importo del telefono all’uopo acquistato, ti ho chiesto esattamente dopo quanti messaggi avessi capito che la donna del mistero ero io. Tu mi hai
guardata alzando le sopracciglia che ci mancava poco che dicessi “ragazzina per chi mi hai preso”, poi le hai abbassate, hai optato per un tono non infierente e hai detto: “Lo sapevo dall’inizio. Solo tu unisci a un citazionismo patologico un’altrettanto patologica approssimazione”. Tutto sommato dev’essere stato allora, che mi sono innamorata di te.
* * *
Il pomeriggio in cui mi preparavo a uscire con quell’altro, mentre mi facevo acconciare i capelli dal parrucchiere economico, sfogliavo un numero di Chi vecchio com’è giusto che sia nei saloni in cui la piega costa poco. C’era un servizio sul matrimonio di Russell Crowe, una cosa imbarazzante,
gli sposi fotografati con Armani, che dimmi un po’ a cosa serve essere un premio Oscar milionario in dollari se poi non ti puoi permettere di comprare i vestiti per il tuo matrimonio
senza esser costretto a smarchettare con gli stilisti, la cosa più imbarazzante per la verità erano i capelli di lui, tutti impomatati e tirati indietro, non aveva più nulla del buon selvaggio che sedusse la vera Meg Ryan e tutte noi sue emule, ma poi c’era anche un’intervista che mi sono messa a leggere un po’ scettica ma è come quando guardi i programmi della De Filippi: cominci un po’ scettica raccontandoti che lo fai solo per lavoro e per capire il pubblico medio come si faccia infinocchiare e finisci rapita, senza più uno straccio di distacco critico.
Insomma mi metto lì a leggere questa benedetta intervista in cui lui spiegava che sì Danielle era la sua prima fidanzata, e sì lui l’aveva riempita di corna più o meno pubbliche, e sì lei era rimasta in Australia mentre lui faceva fortuna a Hollywood, e sì però lei sapeva che nel fondo del cuore lui era ancora il caro vecchio buon aborigeno di sempre e che alla fine moglie e canguri dei paesi tuoi e quindi lui si era fatto infine commuovere da tanta dedizione, si era reso conto che lei lo aspettava da quattordici anni, le aveva telefonato dicendo “sto tornando”, lei gli aveva chiesto se tornava per le
vacanze o tornava per sposarla e lui le aveva detto che gliel’avrebbe detto in aeroporto, di venirlo a prendere all’arrivo ed erano finiti così, coi capelli impomatati, i paggetti biondi e i vestiti di Armani. Avevo cominciato a singhiozzare, ti avevo telefonato per raccontartelo, tu continuavi a dire
“Calmati, non capisco quel che stai dicendo”, allora, fra un singhiozzo e l’altro, ti ho sintetizzato vita e misfatti di Russell&Danielle, tu hai obiettato “Piccoletta, vuoi che ti sposi anch’io perché mosso a compassione? Ma tu non mi stai aspettando da quattordici anni…”, e allora io mi sono asciugata gli occhi e ho pensato che quella sera potevo anche uscire con quell’altro, tanto fra nove anni sarò ancora innamorata di te.
* * *
Sull’aliscafo da Ischia i bambini strillavano e sbrodolavano bibite gassate, e io sempre più zitellescamente sibilavo rivolta ai genitori “se non sapete educare i vostri figli teneteli a casa,
teneteli”. All’arrivo mancavano due ore al mio treno, tutti gli altri se ne stavano in qualche comoda macchina con aria condizionata su qualche affollato traghetto, così io, il mio cappello atto a non farmi sentir sola e i sandali che tu non mi avresti mai lasciato indossare in tua presenza ce ne siamo andati a prendere un aperitivo al Vesuvio. Si sa come va con gli aperitivi, a un certo punto non so più se ero al terzo americano (bittercampari + vermouthrosso) o al secondo cosmopolitan (vodka + cointreau + lime + succodimirtillo), di certo so solo che avevo cenato con le mandorle, roba da Holly Golightly se solo le mandorle non avessero tutte quelle calorie e lei non fosse una perfetta trentotto. La consapevolezza delle mandorle finite mi ha scossa, e io il cappello e i sandali ce ne siamo andati nel lussuoso bagno di quel cinque stelle o quante sono preposto a ospitare solo donne
botulinate, altrimenti non si spiegano quelle impietose luci che svelavano la mia acne senile e ogni mancata applicazione di acido glicolico. Uscita dal bagno mi sono resa conto che il rischio di perdere il treno era oramai concreto, sono salita su un taxi e poi su un pendolino sul quale credo di essermi addormentata con la mascella cascata come le zie zitelle quando rientrano dopo aver fatto visita per il fine settimana a familiari che nel vederle ripartire non riescono a trattenere sospiri di sollievo. Fra Napoli e Roma avevi sempre il telefono spento, e all’arrivo non eri in fondo al binario
a farmi una sorpresa, così sono salita su un taxi da sola, sono arrivata a destinazione da sola, ho aperto la porta senza che tu cavallerescamente mi tenessi la borsa, sono entrata in camera da letto, la cameriera aveva sostituito il piumino con un copriletto di cotone e doveva essere la primavera, perché ho deciso di smettere di essere innamorata di te.

Guia Soncini
ANNO VIII NUMERO 127 - PAG I IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 10 MAGGIO 2003
Supplemento al numero odierno del Foglio Quotidiano - sped. abb Post - 45% - Art. 2 comma 20/B legge 662/96 fil. Milano

OLMO Sylvia Plath

Conosco il fondo, dice. Lo conosco con la mia grossa
radice:
è quello di cui tu hai paura.
Io non ne ho paura: ci sono stata.

E' il mare che senti in me,
le sue insoddisfazioni?
O la voce del nulla, che era la tua pazzia?

L'amore è un'ombra.
Come lo insegui con menzogne e pianti.
Ascolta: ecco i suoi zoccoli: è corso via, come un cavallo.

Per tutta la notte galopperò così, impetuosamente,
finchè la tua testa non sarà una pietra, il tuo cuscino
una zolla,
rimandando echi ed echi.

O vuoi che ti porti il suono dei veleni?
Ecco, questa è la pioggia ora, questo grande azzittirsi.
E questo è il suo frutto: bianco-stagno, come arsenico.

Ho patito l'atrocità dei tramonti.
Bruciati fino alla radice
i miei filamenti rossi ardono ritti, una mano di fili di
ferro.

Ora mi rompo in pezzi che volano intorno come clave.
Un vento di tale violenza
non tollerà neutralità: devo urlare.

Anche la luna è spietata: vuole trascinarmi
crudelmemte, lei che è sterile
Il suo splendore mi folgora. O forse l'ho catturata.

La lascio andare. La lascio andare
diminuita e piatta, come dopo un intervento radicale.
Come mi possiedono e mi colmano i tuoi brutti sogni.

Sono abitata da un grido.
Di notte esce svolazzando
in cerca, con i suoi uncini, di qualcosa da amare.

Mi terrorizza questa cosa scura
che dorme in me;
tutto il giorno ne sento il tacito rivoltarsi piumato,
la malignità.

Le nuvole passano e si disperdono
Sono quelli i volti dell'amore, quelle pallide
irrecuperabilità?
E' per questo che agito il mio cuore?

Sono incapace di maggiore conoscenza.
Che cos'è questo, questa faccia
così assassina nel suo strangolio di rami?

Sibilano i suoi acidi serpentini.
Pietrificano la volontà. Queste sono le colpe isolate
e lente
che uccidono e uccidono e uccidono.

IO SONO VERTICALE Sylvia Plath

Io sono verticale

Ma preferirei essere orizzontale.
Non sono un albero con radici nel suolo
Succhiante minerali e amore materno
Così da poter brillare di foglie a ogni marzo,
né sono la beltà di un’aiuola
ultradipinta che susciti gridi di meraviglia,
senza sapere che presto dovrò perdere i miei petali.
Confronto a me, un albero è immortale
E la cima d’un fiore, non alta, ma più clamorosa:
dell’uno la lunga vita, dell’altra mi manca l’audacia.

Stasera all’infinitesimo lume delle stelle,
alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi.
Ci passo in mezzo, ma nessuno di loro ne fa caso.
A volte io penso che mentre dormo
forse assomiglio a loro nel modo più perfetto –
con i miei pensieri andati in nebbia.
Stare sdraiata è per me più naturale.
Allora il cielo e io siamo in aperto colloquio,
e sarò utile il giorno che resterò sdraiata per sempre:
finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me.

COLLOQUI CON LE OMBRE

[747]

Tanto precipitò nella mia stima
che lo sentii battere per terra
e farsi in mille pezzi sulle pietre
in fondo alla mia mente.
Diedi la colpa al fato che lo spinse
ma ancora di più rimproverai me stessa
d'aver tenuto oggettini placcati
sulla mensola dell'argenteria.

[1212]

A word is dead
When it is said,
Some say.

I say it just
Begins to live
That day.

Muore la parola
appena è pronunciata:
così qualcuno dice.
Io invece dico
che comincia a vivere
proprio in quel momento.

E.D

THE INTERPRETER


...politically triller interessante, pungente, ma soprattutto con un finale non scontato.
Ieri sera sono andata a vedere questo film dal grande cast ed ho apprezzato fortemente la scelta del finale. Per tutta la durata incosciamente devo ammettere di aver sperato e fantasticato nella classica fine romantica che fa innamorare la Kidman ad un Sean Penn ricco di fascino...invece no. E' stata rispettato il dolore, i legami e la memoria...The Interpreter contiene inoltre una sottile riflessione sul tema della vendetta, tanto di moda nella cinematografia contemporanea, descritta come "Una pigra forma di sofferenza"...
Lo consiglio, mi ha fatto riflettere...

COLLOQUI CON LE OMBRE

Dopo un grande dolore si prova
un sentimento composto -
i nervi si fanno solenni, come tombe -
e il cuore, freddo, si chiede
se in lui davvero si è aperta una ferita -
se è accaduto ieri o secoli prima.

I piedi si muovono meccanici
per una via di legno -
se di terra, d'aria o d'altro
indifferenti -
un appagamento di quarzo, come pietra.

Questa è l'ora di piombo.
Chi sopravvive la ricorda
come gli assiderati ricordano la neve -
il gelo prima, pio lo stupore,
e infine l'abbandono.

E. Dickinson

COLLOQUI CON LE OMBRE

Water, is taught by thirst.
Land - by the Oceans passed.
Transport - by throe -
Peace - by it's battles told -
Love, by Memorial Mold -
Birds, by Snow.

L'acqua si impara dalla sete.
La terra, dai mari attraversati.
L'estasi, dallo spasimo.
La guerra ci parla della pace.
La memoria, dell'amore.
La neve, degli uccelli.

Emily Dickinson

Emily Dickinson è una creatura delicata, ma non disarmata, né innocua. Per ferire sceglie la clandestinità della parola poetica, che vive in mezzo alla folla di parole banali con la sua estraneità tagliente e salvifica. (dalla collana "Acquarelli")

MI IMPEGNO MA NON TROPPO

MI IMPEGNO MA NON TROPPO.


Siamo abituate dalla notte dei tempi ad avere a che fare con uomini che non conoscono la parola impegno e nel corso dell’evoluzione ci siamo progressivamente adattate a questa categoria di allergici alle relazioni serie imparando (più o meno) a gestirli con successo, o almeno, senza farci troppo del male. Ci lasciamo prendere in giro per un po’, abbiamo fede in una possibile conversione, ma alla fine li lasciamo al loro destino di disimpegnati e che qualcun’altra se li prenda (meglio non scoprire mai che l’altra ha trasformato il nostro disimpegnato in un uomo sposato).Una nuova categoria in via di formazione rischia però di buttare all’aria la nostra poi non tanto solida sicurezza di donne moderne in carriera, costruita in anni di lotte per le pari opportunità e di puntate di Sex And The City. La categoria dei quasi-impegnati.
I quasi- impegnati sono gli ignavi dei tempi moderni: non stanno né da una parte né dall’altra e in questo modo evitano l’etichetta di allergici alle relazione serie, perché loro in fondo una relazione seria ce l’hanno, seria ma non troppo. Che cosa vorrà poi dire quest’impegno a metà lo sanno solo loro. Se la malcapitata di turno chiede qualche spiegazione in proposito si sente rispondere: “La mia storia precedente è stata un disastro. Con te sto davvero bene, ma andiamoci piano”, oppure: “Io ti considero la mia ragazza, ma in questo momento non me la sento di avere una storia da vediamoci tutti i giorni, sentiamoci tutti i giorni”. I quasi-impegnati sono una categoria più subdola dei disimpegnati, perché hanno una risposta giusta per ogni critica e il loro stare nel mezzo si traduce in un’assenza di punti deboli da attaccare. Esigono esclusività e fedeltà, ma se non mandano il messaggio della buonanotte o non chiamano per giorni, non accettano nessuna protesta. Dopotutto loro l’avevano detto: “Storia seria, ma non troppo”. Ma chi lo capisce cosa è troppo e cosa è troppo poco? La relazione rischia di trasformarsi in una continua considerazione preventiva di ogni piccolo gesto, come una telefonata solo per dire mi manchi, al fine di valutarne in anticipo l’effetto sul disimpegnato e scongiurare i rischi che il suddetto gesto sia bollato con un secco: “Troppo”.
A guardar bene i quasi-impegnati un pregio ce l’hanno: quello di farci venire voglia, per una volta, di fare le disimpegnate. Perché una storia leggera che risvegli i sensi è un lusso che bisognerebbe concedersi in primavera. Come passatempo nell’attesa di un grande amore, questa volta senza quasi e senza non.

01 novembre, 2005

L'ESTATE DEL DISCONTENTO


MARMELLATA #25
(Cesare Cremonini)
Ci sono le tue scarpe ancora qua,ma tu te ne sei già andata,c’è ancora la tua parte di soldi in banca,ma tu non ci sei più!C’è ancora la tua patente rosa tutta stropicciata,e nel tuo cassetto un libro lettoe una Winston blu……l’ho fumata!Ci sono le tue calze rotte la notte in cui ti sei ubriacata,c’è ancora lì sul pianoforte una sciarpa blu,ci sono le tue carte il tuo profumo è ancora in questa casae proprio lì, dove ti ho immaginata……c’eri tu!Ah! Da quando Senna non corre più…Ah! Da quando Baggio non gioca più…Oh no, no! Da quando mi hai lasciato pure tu……non è più domenica!E non si dimentica, non si pensa, non si pensa più!Ci sono le tue scarpe ancora quama tu non sei passataho spiegato ai vicini ridendo che tu non ci sei piùun ragazzo in cortile abbraccia e bacia la sua fidanzataproprio lì dove ti ho incontrata……non ci sei più!Ah! Da quando Senna non corre più…Ah! Da quando Baggio non gioca più…Oh no, no! Da quando mi hai lasciato pure tu……non è più domenica!E non si dimentica…Ora vivo da solo in questa casa buia e desolatail tempo che dava l’amore lo tengo solo per meogni volta che ti penso mangio chili di marmellata..quella che mi nascondevi tu……l’ho trovata!!
(Cesare Cremonini)

Ci sono le tue scarpe ancora qua,ma tu te ne sei già andata,c’è ancora la tua parte di soldi in banca,ma tu non ci sei più!C’è ancora la tua patente rosa tutta stropicciata,e nel tuo cassetto un libro lettoe una Winston blu……l’ho fumata!Ci sono le tue calze rotte la notte in cui ti sei ubriacata,c’è ancora lì sul pianoforte una sciarpa blu,ci sono le tue carte il tuo profumo è ancora in questa casae proprio lì, dove ti ho immaginata……c’eri tu!Ah! Da quando Senna non corre più…Ah! Da quando Baggio non gioca più…Oh no, no! Da quando mi hai lasciato pure tu……non è più domenica!E non si dimentica, non si pensa, non si pensa più!Ci sono le tue scarpe ancora quama tu non sei passataho spiegato ai vicini ridendo che tu non ci sei piùun ragazzo in cortile abbraccia e bacia la sua fidanzataproprio lì dove ti ho incontrata……non ci sei più!Ah! Da quando Senna non corre più…Ah! Da quando Baggio non gioca più…Oh no, no! Da quando mi hai lasciato pure tu……non è più domenica!E non si dimentica…Ora vivo da solo in questa casa buia e desolatail tempo che dava l’amore lo tengo solo per meogni volta che ti penso mangio chili di marmellata..quella che mi nascondevi tu……l’ho trovata!!
Prima o poi doveva succedere. Mi sono innamorata. È successo a Viareggio, al Festival Gaber. A un certo punto arriva Cesare Cremonini, e tutti sono pronti a massacrarlo, e invece fa un pezzo di Gaber e lo fa più che dignitosamente. Ma non è questo il punto. Il punto arriva quando si siede al pianoforte e dice che farà la versione originale della sua nuova canzone quella che tutti sentiamo alla radio. Ecco quel che accade a non possedere una radio: che io Marmellata #25 non l’avevo mai sentita. E fatta così, solo pianoforte, languida e acustica, è stata una coltellata al cuore. Sommata alle quattrocento volte in cui l’ho sentita dal cd nei giorni successivi, fanno quattrocentouno coltellate al cuore. C’è ogni fine di ogni amore, in quella ricognizione di una casa abbandonata, in quel catalogo di oggetti che l’abbandonatrice si è lasciata dietro: “Le tue calze rotte la notte in cui ti sei ubriacata” e la Winston blu che lui ritrova nel cassetto e non resiste, “l’ho fumata”. Altro che costruzione di un amore: vuoi mettere come spezza le vene la fine di un amore? Vuoi mettere lo strazio di spiegare “ai vicini, ridendo, che tu non ci sei più”? Per non parlare di quella desolata constatazione: niente più Senna, niente più Baggio, “da quando mi hai lasciato pure tu non è più domenica”. Mentre Cesare, per dimenticare, mangiava chili di marmellata, io ho pensato che prima o poi doveva succedere. Mi sono innamorata, e in giro per casa ci sono già tutti i segni della fine.
(Guia Soncini, Io Donna)
Ho fatto una vacanza in agosto. Ho comprato delle scarpe con la zeppa. Ho mandato messaggi con faccette sorridenti. Ho fatto il bagno in mare - il bagno intero, intendo, fino al collo. Mi sono distesa su uno scoglio senz’ombra (con la protezione totale, ma nell’orario in cui vengono le rughe). Ho comprato un bikini in saldo a 9 euro e 90. Ho dato dei soldi a un suonatore da ristorante. Mi sono lavata i capelli sotto la doccia, e li ho fatti asciugare all’aria. Ti ho presentato una femmina - belloccia, oltretutto. E alla fine, ubriaca di trasgressioni, ho sorriso a un cameriere e gli ho detto “Prendo la pasta fredda”, e quella pasta fredda aveva persino le olive, non so se mi spiego. Ho violato tutti i princìpi secondo i quali avevo fin qui vissuto, e quindi ora sono pronta a ignorare la convenzione da te imposta, quella per la quale siam gente di mondo e facciam finta di nulla, e a chiederti come cazzo ti permetti di non amarmi.
E’ stata Paola. E’ stata lei, questo è quello che dirò al mio biografo quando, tra centocinquant’anni, verrà a raccogliere le mie memorie di signora di mezz’età e mi chiederà come fosse cominciata l’estate del mio discontento, quella che mi vide mettere in discussione le leggi regolatrici della mia esistenza, scaricare le batterie dell’iPod, dimenticare di piangere. E’ stata Paola. Oddio, la mia crisi di nervi doveva essere già lì, pronta a esplodere, altrimenti mai mi sarebbe venuto in mente di proporti di raggiungerci a cena, o almeno, quando ti ho detto “vado con Paola” e tu hai detto “Paola chi?”, non ti avrei detto “daaaai, te ne ho parlato un milione di volte, la stagista figa…”. Avrei sorvolato, perché a quel punto era assolutamente prevedibile che tu dicessi una di quelle cose che dici tu, e infatti l’hai detta, hai detto “Ma se vengo a cena poi lei me la dà?”. Io ho finto di trovarti divertente, tu hai finto di dire che non sapevi, bah, tanto non te la dava, tanto quasi certamente era una cozza come tutte le mie amiche, e probabilmente non saresti venuto, e quando sei arrivato hai finto di tirartela, hai detto che eri di cattivo umore, e che eri lì con noi solo perché alla cena da cui eri fuggito c’era una che ti prendeva a capellate. Avrei dovuto capirlo dal modo in cui trovavo irresistibile la tua imitazione dei movimenti del collo della povera ragazza, da quell’agitare chiome che non hai come arma contundente e dal mio trovarla la gag più spassosa del mondo, avrei dovuto capirlo da quello che non era una buona idea essere lì, non era una buona idea fare i vecchi coniugi con eccesso di confidenza, non era una buona idea consumare pasti regolari in tua compagnia. Avrei dovuto capirlo da quello, o anche dal modo in cui Paola agitava le mani davanti alla faccia ridendo come una tredicenne in via di sviluppo e dicendo “Che emozione, conosco il Porco Bastardo!”. Avrei dovuto evitare di incrociare il tuo sguardo, quello sguardo hai-amiche-persino-più-imbecilli-di-te, o fare qualcosa, zittirla, magari prendendola a capellate, che quella sera erano pure ricci e quindi particolarmente contundenti.
Poi c’è stata la Versilia. Uno dei posti più deprimenti in cui sia mai stata, forse solo Santo Domingo è a quei livelli. Un posto in cui l’alta stagione sembra fine stagione, in cui fine luglio sembra la fine di Sapore di mare, quando i ciccioni se ne vanno assieme e gli stabilimenti chiudono e Selvaggia e Gianni si sono mollati e lei cammina triste e sola e tettona e piove. (Chissà perché Marina Suma che guardava da lontano Jerry Calà raggiunto dalla sua ragazza-bene milanese e già dimentico della sua burina stagionale con madre che la voleva accasare, chissà perché non commuoveva allo stesso modo). Comunque, è stato in Versilia che l’ho sentita la prima volta. E’ stato dalla Versilia che ho mandato a un amico il messaggio “mi mandi l’mp3?”. E’ stato dalla Versilia che ti ho scritto “Non mi dici mai le cose importanti. Marmellata #25 è un capolavoro”. Ero su un treno di ritorno dalal Versilia quando sono successe le uniche due cose che abbiano sin qui illuminato l’estate del discontento e forse la mia intera vita, le uniche due frasi davvero gentili e affettuose che mi siano state rivolte da che ho memoria. La prima era la tua risposta su Marmellata #25. Una risposta che sembrava mia. “Tu non mi ascolti”. Dev’essere la radiosa espressione con cui ho alzato la testa dal display del cellulare che ha influenzato la signora seduta di fronte, una cicciona di Benevento che riportava i nipoti dai genitori. Invece di tenere fermi gli infernali marmocchi, la signora faceva conversazione con due befane (era una di quelle che parlano con gli estranei). In quel momento stava dicendo alle befane che lei indovina sempre l’età delle persone. Quindi io ho alzato la testa dal meravigioso messaggio in cui tu facevi quello che mi parla di quella meravigliosa canzone e sarei io quella che ti trascura, bella e spietata come il conte di Montecristo, e la tizia mi ha indicato e ha diagnosticato: “Tu 19… 20?”. Per un attimo mi è sembrata una stagione d’assoluta figaggine.
C’è ancora la tua patente rosa tutta stropicciata/ E nel tuo cassetto un libro letto e una Winston blu/ L’ho fumata” Il mio Consulente Musicale di Riferimento, quando l’ho chiamato balbettando estasiata “Ma… Marmellata… Ma… Capolavoro…” mi ha detto: “Quando lui trova la Winston e la fuma io mi inginocchio in segno di rispetto per il genio. Ogni volta”. Il mio Consulente Musicale di Ripiego, quando gli ho chiesto se mi insegnava ad aspirare perché io devo assolutamente cominciare a fumare Winston blu, è una necessità che sento prepotente come lo era stata solo quella di avere un punto vita di 38 centimetri dopo la prima visione di Via col Vento, il Cons. Mus. di Rip., ti stavo dicendo, ha decretato che Cremonini debba avere un ghostwriter: “Dietro quella Winston blu c’è tutt’un mondo che lui non può conoscere in prima persona. A meno che non sia un genio. O un highlander”. Ho tentato - credo senza convincerlo - di argomentare che la fine della storie d’amore, oltre a essere un collirio universale, dà un botta di lucidità nell’ottundimento e insomma io ci credo, che l’hanno piantato e lui ha composto un capolavoro. Come diceva il mio fidanzatino delle medie: soffri, che ti fa bene. Poi dice perché una diventa un’adulta problematica.
“Ci sono le tue calze rotte la notte in cui ti sei ubriacata”Io non lo so cosa sia successo quella notte con Paola. Cioè, so che ti ho detto di riaccompagnarla a casa e lei ha iniziato a sbattere gli occhioni dicendo “Ma no, posso andare a piedi”. So che mi ha telefonato dopo un quarto d’ora fingendo di volerti commentare ma in realtà per farmi capire che era sola e disponibile alla conversazione e che insomma al massimo poteva avertela data rapidamente nell’androne e siccome io sapevo che era una ragazza troppo chic per darla nell’androne senza venire presentata ai tuoi genitori potevo pure andare a dormire tranquilla. So che, quando sono tornata dalla Versilia e le ho passato la dose di Marmellata #25, lei mi ha detto che era dovuta uscire dall’ufficio con una scusa per piangere in pace. So che il mattino successivo alla cena, quando ti avevo telefonato facendo la sportiva, “Hai visto, te l’avevo detto che era figa”, tu mi avevi risposto “Insomma, mi avevi annunciato Emmanuelle Béart e mi sono ritrovato Pollyanna” e lì per lì la cosa mi aveva molto rassicurato, ma poi mi sono ricordata di un moroso del liceo che mi piantò per una molto carina, e fino al giorno prima ogni volta che io dicevo che era molto carina lui mi diceva che era inguardabile e nana, e quando andai a lamentarmi dalle amiche quelle mi guardarono con compatimento svelandomi quel che loro sapevano dall’asilo, ovvero che se un uomo parla male di una è perché se la vuol fare. Ecco. Tanti soldi spesi per iscrizioni inutilizzate all’università e mi ritrovo a dire “chi disprezza compra”. E’ così che mi hai ridotto. Altro che Adèle H.
Comunque poi le ho passato il file di Marmellata, lei l’ha sentito, è andata fuori a piangere, e quella sera mi ha raccontato una straziante e ordinaria storia di amore finito e calze rotte ed ex fidanzato fanatico di Baggio. Poi mi ha detto “Se tu lo amassi ancora scriveresti quelle cose commoventi”. Ci sono voluti due minuti per capire. I due minuti si sono articolati in tre fasi. La prima è stata la realizzazione che Paola legge le cose che scrivo a te, voglio dire, roba da matti, se volessi farle leggere al mondo le pubblicherei su un giornale, no? La seconda è stata l’individuazione di quali fossero esattamente le “cose commoventi” cui si riferiva. Alla fine non l’ho capito per il mio prodigioso intuito ma perché lei si è messa a citare a memoria interi brani di disperazione da fine d’amore, e alla fine mi ha detto pure in che data ti avevo recapitato tutto il mio strazio. “5 luglio 2003. Sai, quand’era morta Katharine Hepburn e anche…”. Ha lasciato la frase a metà, perché è sì così malata di mente da ricordarsi parola per parola una cosa che non avrebbe dovuto leggere due anni prima, ma non ha però letto un sufficiente numero di romanzi di Delly da praticare la sospensione del ridicolo necessaria a pronunciare frasi come “il giorno in cui è morto il vostro amore”. Avrei dovuto dirle qualcosa. Che è una malata di mente. Che le cose che scrivi nel momento in cui le scrivi cessano d’essere vere. Che l’amore è uno sbilanciamento ormonale curabile. Che volevo il parmigiano, anche se il cameriere sosteneva su quegli spaghetti non ci andasse, perché nel sugo c’era l’aglio, io ce lo volevo lo stesso e avrei voluto anche un cameriere che si facesse i cazzi propri. Avrei dovuto parlare, ma non potevo. Ero nella terza fase. Concentrata e silente. Impegnata ad avere nostalgia di due estati fa. Quando non avevo ancora il nuovo modello di cuore. Quello infrangibile.
“Ogni volta in cui ti penso mangio chili di marmellata / Quella che mi nascondevi tu / L’ho trovata”Il giorno dopo sono passata in ufficio. Il vicino di scrivania di Paola stava minacciando di licenziarsi se lei non avesse interrotto il loop di Marmellata che girava sul suo computer ormai da ventiquattr’ore. Lei ha spento, è venuta alla mia scrivania e ha detto “Fammela sentire”. Ci sono casi in cui è intuile mettersi a discutere: ho aperto iTunes e ho cercato di distrarla dalla sua determinazione a frignare dissertando su come la canzone fosse un capolavoro e Cremonini un genio. Siccome ogni scusa è buona per non lavorare, dopo un po’ c’era un assembramento di improvvisati critici musicali. Chi diceva che probabilmente lei in realtà fumava delle Marlboro light, ma con la metrica era un casino e allora lui le aveva fatte diventare Winston blu (io non voglio neanche prendere in considerazione, neanche a puro scopo di speculazione filosofica, l’idea che Cremonini menta su un dettaglio del genere: voglio dire, stiamo parlando di un puro di cuore, dell’uomo che “dammi una Vespa / è l’estate che avanza / dammi una Special / che ti porto in vacanza”, diamine). Chi raccontava il video, con lui che trova in giro tutti gli oggetti di lei e ricorda straziato come nella canzone quando lei era lì, finché arriva al tavolo della colazione e lei è lì seduta e non se n’è mai andata, ma allora non vale, scusa. Fino a che la mia cinica vicina di scrivania ha preso il foglio su cui avevo stampato il testo, gli ha dato un’occhiata con una smorfia che neanche la regina cattiva guardando Biancaneve, e ha detto “Che stronzata”. Io ho detto che era un capolavoro assoluto, a livello di “chi ci sarà dopo di te / respirerà il tuo odore / pensando che sia il mio”, che era fin qui la più fenomenale frase da fine di un amore mai sentita. La cinica ha alzato le spalle e ha ribadito “Che stronzata” (cinica e con un vocabolario limitato). Paola ha detto “Ma allora lo vedi che non è più domenica!” col tono con cui io dico a te “Ma allora non mi vuoi più bene!” (meglio: col tono con cui te l’avrei detto nel luglio 2003) ed è corsa fuori non ho capito se a piangere, a telefonare, a fumare o semplicemente a imboscarsi da qualche incombenza lavorativa. L’assembramento da Marmellata si è sciolto, e io ho capito di avere bisogno di una vacanza.
“Da quando Senna non corre più / Da quando Baggio non gioca più / Da quando mi hai lasciato pure tu / Non è più domenica”Il fatto è che le cose tra di noi non sono chiare. Cioè, se io ti dico “Andiamo al mare?” e tu mi rispondi “Cos’è, adesso programmiamo le vacanze? Siamo una coppia?”, io mi aspetto che sia parte della nostra deliziosa dinamica in cui io sono il detenuto buono e tu il poliziotto cattivo, mi aspetto che tu faccia battute stronze ma poi ti presti a caricare la macchina, calcolare le ore non di punta, chiedermi a cosa mi serviranno mai tutte quelle valigie e insomma fare le cose normali che gli uomini fanno ad agosto quando le donne decidono che è giunta l’ora di mostrare la cellulite agli altri bagnanti. Non mi aspetto di ritrovarmi, la settimana dopo, appollaiata sull’unico scoglio su cui il cellulare abbia un po’ di campo, a chiedere alla tua segreteria telefonica quando ti deciderai a raggiungermi. Non mi aspetto di ritrovarmi sola a cene di tutte coppie con mogli abbronzate che mi guardano in tralice come fossi lì per azzannare i loro incommestibili mariti. Non mi aspetto di dover sorridere al direttore dell’albergo che, incrociandomi mentre torno dal mio scoglio di riferimento, mi chiede “Signora, ma lei sta sempre al telefono?”. Pensare che il mese più crudele sia aprile significa non aver mai affrontato un agosto con te.
Siccome la Marmellata dopo un po’ stucca, ho passato giornate in simbiosi con l’iPod, cercando altre canzoni perfette per elaborare il lutto da fine di un amore. Dal capanno dei massaggi sulla spiaggia ti ho scritto: “non finiscono mai/ non finiscono mai/ non finiscono mai mai mai”. Da non so dove mi hai risposto: “Radio Cuore?”
Conversazioni che ti metterò in conto, con commensali coi quali non sarei mai stata costretta a intrattenermi se tu non mi avessi piantata sola come uan zitella in luogo di viellegiatura fastidiosamente ameno.Una francese che, arrivata in un ristorante sugli scogli, separato dal mare solo da una vetrata, in una sera di pioggia, ha scosso le chiome tirate a ludcido e ha sospirato seria e (secondo lei) intensa: “Mi piace la violenza del mare”.Il marito della francese che, mentre lei parlava a voce altissima di cose pochissimo interessanti (cioè: di se stessa), mi ha intrattenuto su: la necessità della riforma dello stato sociale; l’opportunità di servire i superalcolici con ghiaccio; la sua avversione per negozi come Colette e Corso Como, dove trovi le stesse cose che in altri posti ma le paghi di più. Fino a quel momento l’avevo ascoltato con pazienza, perché probabilmente era la prima sera dall’inizio dell’anno in cui riusciva a parlare, pover’uomo, la prima sera in cui almeno una persona al tavolo non era travolta dalle arringhe di sua moglie, la prima sera in cui lui aveva l’opportunità di sentire il suono della propria voce. Fino a quel momento l’avevo ascoltato: era noioso ma miliardario, e magari un domani decideva di sostituire una moglie logorroica con una paziente, e una ragazza deve pensare a sistemarsi, specie se ha buttato i più sodi anni della propria vita con un inaffidabile cattivo partito come te. Aavevo taciuto fin lì, ma su Colette non ho retto più. Voglio dire, ti sembra normale che un eterosessuale maschio conosca le boutique e i loro prezzi e il loro assortimento?Una romana che ha interrotto il mio flirt col cameriere - la persona più civile che ci fosse lì intorno. Lui stava cambiando i piatti tra un antipasto e l’altro e io gliela stavo mandando caldissima, cercando di non ricordare la volta in cui avevamo preso in giro una pariolina che sospirava che a lei ormai piacciono solo i criminali e alle cene in terrazza socializza solo coi camerieri. Ero intenta a non immaginarmi la tua espressione mentre mi dicevi “Non so se ti sopporto meno quando fai quella di sinistra o l’orfanella Annie”, a non farmi rovinare dai tuoi immaginari rimbrotti il gioco di sguardi col cameriere, le occhiate in bilico sullo scivoloso crinale tra solidarietà e sussulto ormonale, l’unica cosa che movimentasse la serata, quando la romana mi ha rivolto la parola. Era seria. Cercava la mia approvazione. E io non sapevo che faccia fare. Cosa si risponde a una che dice “Certo che non si trova più personale come si deve”?Una democristiana che lamentava le sue studentesse andassero in giro coi pantaloni a vita bassa, e io ho cercato di spiegarle il concetto filosofico di “moda” e di come in contemporanea non ti sembri mai brutta né ridicola, voglio dire lei ha presente le zeppe dei tempi suoi o le spalline imbottite dei tempi miei, ma lei mi guardava come neanche lady Bracknell e sillabava “Ma hanno il taglio del sedere di fuori!”, e io non avevo la forza di dirle “Sì, ma lei ha la matita più scura rispetto al rossetto, non è che faccia meno impressione, sa?”, ma tu non c’eri e una ragazza sola non può mettersi troppo nei guai.La francese, infine, ancora lei. Che in finale di serata ha iniziato a cianciare di non so quale cena che avrebbe organizzato al ritorno a Parigi, in onore dell’ambasciatore di Sailcazzo, e la cena si sarebbe intitolata, diceva scuotendo le chiome, “hommage à Pulia”, con l’accento sulla “a”, e io mi chiedo perché tu non ci sia mai in questi momenti topici, quando potresti farti prendere a capellate e scansandoti una ciocca dalla faccia chiederle se le sue cene abbiano sempre un titolo, ché io mica ho avuto il coraggio di domandarlo. Comunque poi la capellatrice ha aggiunto che per fare la cena in questione si sarebbe portata via non so quante valigie di prodotti locali, e che il dessert sarebbe stato fatto sulla base della marmellata che il cuoco dell’albergo faceva con la ricetta lasciata da sua nonna. Marmellata di melograno e arancia amara. L’ho trovata.
La prima cosa di cui mi sono resa conto è che mi stavi spingendo fuori dal letto. Non ho pensato niente, ordinaria amministrazione, ho guardato l’ora sul cellulare e stavo per tornare a dormire, ma riappoggiandolo ho realizzato che là dove c’era un mucchio di giornali ora c’era un comodino, e quindi non era casa mia: già, erano le ferie d’agosto, quelle per le quali tu mi avevi bidonato - quindi ora cosa ci facevi nel mio letto? Ho cercato di ricordarmi se fossi arrivato la sera tardi, ma no, ero sicura di essermi addormentata da sola, me ne ricordavo perché l’ultima cosa che avevo fatto sul mio scoglio, al buio, prima di rientrare in quella stanza in cui il telefono non prendeva, era stata parlare con un altro uomo, uno che aveva definito Marmellata “un tentativo adolescenziale di rifare Battisti-Mogol”, e quelli che fanno i competenti mentre tu fai la sentimentale sono davvero insopportabili, senza contare che poi il competente, quando l’avevo arringato sul concetto rivoluzionario per cui “non è più domenica”, si era dimostrato del tutto impreparato, e non si può discutere di una canzone con uno che del ritornello non ha compreso non dico la valenza eversiva ma neppure le parole, santa pace. Ero tornata in camera esausta, e sola. La prima cosa che ho pensato è stata che per fortuna non sono abbastanza di sinistra da portarmi in camera il cameriere. L’ho pensato per mezzo secondo, poi ho fantasticato per un paio di minuti sulla meravigliosa scena da Beautiful che persino tu, che non ti scomponi per principio, saresti stato costretto a fare trovandomi dormiente con un cameriere perdipiù senza divisa. Voglio dire, mica potevi scansarlo e metterti a dormire.
Il direttore dell’albergo si è affacciato all’ora di pranzo, quando tu sotto il pergolato stavi facendo la stessa cosa che avevi fatto per tutta la mattina, ovvero leggere i giornali lamentandoti perché te li avevo disordinati tentando invano di venire a capo dei sudoku, e io sugli scogli stavo passeggiando leggiadra come sempre, forte della protezione totale e del cappello a tesa larga di fronte al quale tu avei borbottato “levati quell’affare da cretina” e delle mie trippe tenacemente bianche e del mio costume da 400 dollari che mi stava esattamente uguale a quello saldato a 9 euro e 90. Il cappello non dev’essere bastato a evitarmi un colpo di sole, perché giurerei che il direttore abbia detto “Ha visto che bella sorpresa?”, giurerei di avergli risposto che non mi ero accorta di niente, avevo continuato a dormire, e giurerei che tu a quel punto, con quell’espressione impassibile con cui potresti recitare le previsioni del tempo, abbia detto “Sì, ha il sonno pesante. Le ha mai raccontato di quel fidanzato col pisello piccolo e di come lei si svegliasse sempre a cose fatte? E’ il suo aneddoto preferito” - giurerei, ma sarebbe un delirio solare, vero? Non può essere andata così, vero?
Avrei voluto dirti di Paola. Che quando giorni prima l’avevo invitata, visto che ormai ti conosceva, a chiedere a te perché non scrivevo più cose struggenti come un tempo, evidentemente la responsabilità era tua, che non sapevi più ferirmi come un tempo, di Paola che mi aveva risposto “Ma no. Sei tu, che devi ritrovare la capacità di starci male come allora” (quando il biografo, tra centocinquantun anni, arriverà a questo punto, gli dirò di sì: è stato questo il momento in cui ho capito perché non ho amiche). Avrei voluto dirti dell’infruttuosa ricerca del perfetto verso da morte dell’amore, di come grande fosse stata la collaborazione e copiosi i suggerimenti, il migliore dei quali mi sembrava “una prova innnocente / chiamare amore un amore qualunque / a cui di me non gliene frega niente”, ma nessuno all’altezza della fine dell’idea stessa di domenica. Avrei voluto chiederti se per favore la prossima estate potevamo organizzarci meglio, se potevi farmi soffrire almeno un po’, ché mi mancano tanto i miei ferragosto di lacrime in città, quando è chiuso perfino il MacDonald. Stavo per parlartene seriamente, dovevo solo darmi una sistemata, venivo dal capanno dei massaggi e mi colava l’olio dalle orecchie. Ma poi è successo tutto insieme. Tu hai detto “vabbè, io riparto”, il cellulare ha fatto dlin-dlon, il messsaggio suggeriva un nuovo verso, “da sempre mi tormenta una domanda / perché gli viene facile all’umano / amarsi specialmente da lontano?”, io mi sono asciugata l’olio il più dignitosamente possibile e ti ho detto che prima di partire avresti proprio dovuto assaggiare la specialità della casa. Marmellata di melograno e arance amare.
(Guia Soncini,
Il Foglio)
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